Come valorizzare il portafoglio applicativo

Le questioni cardine da affrontare per massimizzarne il valore: dalla gestione delle performance al nuovo ruolo del network manager.

Allineare l’It al business: una frase diventata ormai un refrain che accompagna il lavoro quotidiano dei Cio. Nella pratica, una delle conseguenze è che si pone molta più attenzione, rispetto al passato, al corretto funzionamento delle applicazioni di business.

Del resto, ogni azienda, piccola o grande, dovrebbe puntare a massimizzare il valore del portafoglio applicativo, considerato in letteratura uno dei principali asset intangibili che contribuiscono a una strategia aziendale di successo.

Come rileva Forrester Consulting in un recente report dal titolo “Improving Application Deployment”, questa maggiore attenzione ha dato una spinta in avanti all’innovazione nelle architetture delle applicazioni: Web 2.0, Web services, Soa, Composite application, Dynamic application sono tutte novità nate con l’obiettivo di rendere più agile ed efficace il business. Obiettivo nobile, ma difficile da raggiungere, perché le applicazioni sono diventate, in breve tempo, molto più complesse.

Lo studio Forrester, riferito al mercato americano, rileva che il portafoglio è mediamente così ripartito: 44% di applicazioni pacchettizzate (come Sap, PeopleSoft o Oracle); 32% sviluppate internamente ad hoc (o custom); 21% open source. In questa situazione, le aziende si trovano sempre più ad affrontare problemi di scarse performance e sicurezza quando cercano di innovare e introdurre nuovi applicativi a supporto del business.

Il ruolo del network manager
Centralità delle applicazioni e complessità crescente stanno avendo un’altra conseguenza importante: il network manager, sempre più coinvolto, è chiamato ad assumere nuove responsabilità e non può più limitarsi ad affermare che non è colpa della rete se il sistema non funziona a dovere. I ruoli si stanno mescolando: “La natura stessa delle applicazioni – fa notare George Hamilton di Yankee Group – è tale da coinvolgere i network manager nella gestione delle loro performance, anche perché le reti evolvono verso il modello “application aware“.

La transizione, tuttavia, è ancora lenta, tanto da indurre Ian Keene di Gartner ad affermare che ” la maggior parte delle aziende sta sprecando denaro in investimenti in networking di cui non ha bisogno”. E questo perché è necessario cambiare approccio, senza troppo ascoltare i consigli interessati dei vendor, e “progettare le reti pensando alle applicazioni e ai business process, focalizzarsi sull’application performance e identificare il nuovo profilo dei lavoratori, che sta profondamente cambiando in Europa“.

Gestione delle performance, individuazione e risoluzione dei problemi, accelerazione dei tempi di risposta e ottimizzazione delle risorse sono alcuni dei complessi compiti cui sono chiamati i network manager e i responsabili delle applicazioni. Il rischio, senza una gestione accurata e un’assegnazione di compiti precisi, è quello di degenerare in un balletto di scarico di responsabilità e riunioni inconcludenti ogni volta che si presenta un problema.

L’aiuto della tecnologia
La tecnologia per riprendere in mano la situazione, migliorando le performance e cercando di anticipare i problemi attraverso il monitoraggio costante, è disponibile e in continua evoluzione: si tratta dei tool, in parte software in parte appliance, dedicati all’application e network performance management, che servono a individuare e prevenire le cause di malfunzionamento (tempi di attesa che si allungano, messaggi di errore inattesi, sessioni che cadono e via dicendo). A questi si affiancano le soluzioni dette di application delivery, che racchiudono un set di funzionalità mirate a ottimizzare e accelerare le applicazioni.

L’analisi, dunque, riguarda sia il campo del network management sia quello dell’application monitoring: tipicamente, i primi sono tool che si occupano di monitorare lo stato della rete e inviare allarmi in caso di problemi, i secondi di tracciare le performance delle applicazioni e segnalare i cali, anche minimi, prima che i clienti se ne avvedano, per poi individuarne la causa. Gli strumenti sono in grado sia di fornire un’analisi in tempo reale dei vari parametri interessati sia di analizzare lo storico dei dati, con una granularità che arriva anche al minuto, in modo da consentire l’individuazione della radice del problema.
Si tratta quasi di un lavoro da detective: si seguono le tracce, si interpretano gli indizi, si cerca il bandolo della matassa, ovvero la vera causa che rallenta o rende indisponibile un’applicazione.

Arrivare alla radice del problema
Per quanto si lavori sulla qualità dello sviluppo – afferma Cristiana Darra, technical specialist di Ca Wily, società specializzata nell’Application Performance Monitoring – in produzione le applicazioni presentano sempre dei problemi che non erano emersi in fase di test, poiché non è possibile simulare la realtà prevedendo tutti i comportamenti degli utenti. Con lo spostamento delle applicazioni critiche sul Web, l’It si trova a gestire problemi di business: diventa necessario, per esempio, sapere se il bonifico di un cliente è andato a buon fine, e questo 24 ore su 24 e con livelli di servizio molto alti. Non dimentichiamo che per ogni cliente che chiama per segnalare un disservizio, dieci non lo fanno. Ma quando sullo schermo compare una scritta del tipo “Http 304 error” i clienti abbandonano quel sito e si indirizzano alla concorrenza“.

Il punto cruciale, secondo Darra, è la caduta del modello che vedeva le applicazioni chiuse in silos separati. “Oggi tutto è correlato – conclude l’esperta -, tanto che non si riesce più a sapere l’impatto che può avere lo “spegnimento” di un’applicazione. Con i Web service, poi, ci sono servizi che invocano altri servizi: non è banale monitorare i tempi di risposta della transazione, e in questi contesti quattro secondi possono essere già troppi. Il risultato è che quando c’è un problema non si riesce ad arrivare alla radice: si continua a discutere rimbalzandosi la colpa a vicenda. Serve un approccio reattivo, ed è quello che noi proponiamo. Bisogna partire dalla percezione della qualità dell’applicazione da parte dell’utente“.

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