Come funziona la fotocamera digitale

La storia, l’evoluzione, le principali tecnologie che vengono usate all’interno della digicamera

settembre 2005 Le fotocamere digitali sono presenti sul mercato in
una grande varietà di marche e modelli. Si sono ampiamente diffuse negli
ultimi anni e rappresentano ormai una scelta obbligata per chi si avvicina al
mondo della fotografia, sia professionale sia amatoriale. La rapida evoluzione
di materiali e tecnologie ha portato la fotografia digitale ai livelli di quella
analogica e oltre.

Caratteristiche come l’instant preview, cioè la possibilità
di vedere subito la fotografia appena scattata, e l’ampia possibilità
di manipolazione dell’immagine direttamente sulla fotocamera, rendono
in effetti la digicamera un prodotto vincente.

Fotocamere analogiche e digitali
La digicamera condivide buona parte della propria componentistica con le sorelle
analogiche:

• l’obbiettivo, l’occhio della fotocamera
dalla cui qualità dipende la qualità dell’immagine stessa;

• l’esposimetro, necessario strumento di misurazione
della luce per ottenere immagini correttamente esposte, ossia né troppo
chiare né troppo scure;

• il diaframma, per regolare la quantità di
luce che impressiona il sensore o la pellicola;

• l’otturatore, accoppiato al diaframma, determina
per quanto tempo la luce impressiona il sensore.

Nelle digicamere si aggiungono, poi, alcuni elementi caratteristici:

• Il microprocessore interno che elabora i dati elettronici
provenienti dal sensore e li trasforma nell’immagine finale, eseguendo
le eventuali correzioni (filtri) e la compressione, nel caso in cui si utilizzi
un formato di memorizzazione compresso come JPEG.

• Il display che visualizza le immagini registrate
e i menu di configurazione. A volte al display si abbina anche un mirino elettronico,
ossia un piccolo display montato al posto del mirino ottico utilizzato per costruire
l’inquadratura.

• La schedina di memoria che contiene le immagini scattate.

• I connettori che permettono di collegare la fotocamera
con il PC e con il televisore, al fine di trasferire o visualizzare le immagini
disponibili nella memoria.

Ma il componente caratterizzante della digicamera è indubbiamente il
sensore. Le due tipologie più diffuse sono il CCD e il CMOS: entrambi
circuiti in silicio, condividono molte caratteristiche, ma si differenziano
per i processi di fabbricazione, per l’architettura dei chip utilizzati
e hanno caratteristiche di qualità e consumi energetici sensibilmente
differenti.

Il sensore CCD

Il CCD (Charge-Coupled Device) nasce nel 1969, ad opera di George Smith e
William Boyle dell’azienda di telecomunicazioni Bell. È un insieme
di celle fotosensibili disposte secondo una matrice x-y.

All’interno di ogni cella si trova un fotodiodo accoppiato a un condensatore;
sottoposto a radiazione luminosa, il fotodiodo produce una carica elettrica
che viene registrata nel condensatore: a ogni diversa intensità luminosa
corrisponde una carica elettrica.

La lettura delle intensità di carica avviene una riga alla volta. Per
prima si legge la riga più esterna, trasferendone il contenuto a un “registro”
(un’area di memoria temporanea) che manda i segnali, uno alla volta, a
un convertitore analogico/digitale.

Una volta elaborata la prima riga, il contenuto della seconda riga si sposta
sulla prima per seguire lo stesso procedimento.

Parallelamente si sposta in giù di una posizione anche il contenuto
di tutte le altre righe. Ed è proprio questo comportamento che giustifica
il nome Charge-Coupled Device: le celle fotosensibili sono collegate tra loro
in cascata in modo da passarsi le rispettive cariche fino allo svuotamento completo
del contenuto dell’immagine.

Purtroppo il CCD richiede un alto consumo di energia per funzionare, a causa
dell’alto numero di cicli necessari al convogliamento delle informazioni.
Inoltre la sua particolare architettura ha costi di produzione molto elevati.

continua…

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