Codice libero in azienda: pro e contro

Al di là delle mode, che connotazione danno i grandi software vendor all’open source? Ne parliamo anche con Microsoft…

Rispondere alla domanda “Perché usare l’open source in azienda?”, per Francesco Angeleri, Vp del Software Group di Ibm “è semplice. E non dipende da schieramenti di tipo ideologico, ma da pragmatismo. La vera ragione dell’adozione di soluzioni open source e basate su open standard è legata ai benefici che ne derivano. Flessibilità e interoperabilità, ad esempio, sono requisiti fondamentali di un sistema informativo di qualsiasi azienda o amministrazione pubblica e, certamente, sono gli elementi che caratterizzano le soluzioni open. Inoltre, a differenza dei sistemi chiusi che tendono a vincolare i clienti a un unico fornitore, l’open source e gli open standard favoriscono una maggiore libertà di scelta permettendo di ridurre i costi scegliendo la combinazione di hardware e software più idonea. Ma l’aspetto interessante è che stiamo assistendo al consolidamento di una sorta di modello ibrido, il cui punto di forza è costituito dalla coesistenza di software open e software aperto, basato su open standard, ma di tipo commerciale“.


Per Giovanni Vota, Java Open Business Project Director di Sun i motivi per usare applicativi open source in azienda sono molti: “Esistono soluzioni per ogni esigenza, con diversi gradi di maturità. Noi, tuttavia, preferiamo non contrapporre in modo netto le soluzioni open source a quelle proprietarie. Lo scenario è composto da entrambe le possibilità e la scelta di adottare una soluzione anziché un’altra dipende da fattori e da valutazioni interne all’azienda. Relativamente alle soluzioni open, però, riteniamo che abbiano particolari caratteristiche che gli utenti finali devono valutare. Innanzi tutto non sono vincolate al fornitore che ha ideato il software e dunque non si corre il rischio che il prodotto non sia più disponibile sul mercato; possono contare su un’ampia disponibilità di competenze a livello mondiale, grazie all’esistenza di comunità di sviluppo; infine, i prodotti open source costituiscono dal punto di vista tecnologico soluzioni di alto livello, sempre aggiornate“.


E per Andrea Rossi, principal di Novell, “non è tanto un problema di tipologia di azienda bensì di ambito d’uso del software open source. Se si tratta di nuove implementazioni, tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, possono beneficiarne velocemente. Ad esempio utilizzando Linux è possibile ridurre i costi di hardware qualora si debba installare una nuova applicazione o database oppure risparmiare in licenze utilizzando JBoss anziché ambienti J2Ee proprietari“.


Passiamo, allora, all’altra faccia della medaglia, e proviamo a scovare i motivi per cui non sarebbe utile puntare sull’open source.


Per Angeleri, anche in questo caso vale la regola del pragmatismo: “Se non c’è alcun dubbio sul fatto che il modello collaborativo del software open source stia giocando un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’intera industria del software, è altrettanto vero che ci si imbatte, a volte, in una sorta di confusione in merito ai punti di forza e di debolezza, spesso frutto di posizioni ideologiche. Il software open source è, di fatto, una componente tecnologica importante che può e deve essere valutata dai clienti in relazione agli obiettivi e alle esigenze e non necessariamente in contrapposizione al software commerciale. Tale valutazione, infatti, può far emergere eventuali situazioni nelle quali sia più opportuno ed efficace l’impego di un modello ibrido nel quale il software commerciale e quello open source si integrano“.


Per Vota “non esistono a priori motivi per non adottare una soluzione open source. Ci si deve focalizzare, invece, sul livello di qualità della soluzione, sui costi che l’azienda dovrebbe sostenere nel tempo decidendo di adottarla, sulle garanzie che la soluzione offre e sulle persone interne all’azienda che saranno coinvolte nel progetto. Nel momento in cui si deve introdurre una soluzione in azienda è necessario pensare se questa è in grado di garantire gli stessi vantaggi di una soluzione proprietaria“. Per Rossi “sono due gli aspetti da ponderare. Primo, valutare quanta competenza interna e di partner conosciuti è disponibile in ambienti open. Ad esempio se l’azienda ha competenze Unix, passare a Linux non è un problema, oppure se l’azienda già sviluppa in C# o J2Ee non è un problema utilizzare Mono, cioè .Net su Linux, o usare JBoss al posto di ambienti proprietari. Secondo aspetto, bisogna valutare il parco applicativo. Qualora vi sia un intenso utilizzo di applicazioni customizzate fatte su piattaforme non standard, ciò rende ardua la migrazione se non intraprendendo percorsi di riscrittura onerosi“.


E chiudiamo con Andrea Valboni, National technology officer settore pubblico di Microsoft, a cui non chiediamo, consapevolmente, perché sì o perché no, ma solo cosa fa Microsoft sul fronte open. “Noi abbiamo avuto un’evoluzione movimentata, ma che ha preso piede sotto il cappello della Shared Source Initiative, per andare incontro alle esigenze di chi voleva la condivisione dei sorgenti. E sotto SourceForge (la comunità per i progetti open creata da Va Software, ndr.) abbiamo aperto Windows Ce, che ha totalizzato due milioni di download, ed è utilizzato per la commercializzazione di prodotti con sorgente modificato. Tre anni fa i progetti di apertura sotto la Ssi erano 7, oggi sono 20. Tendenzialmente sono rivolti a sviluppatori (tecnici e delle università), sistemisti ed end user. Ma coinvolte ci sono 80 tecnologie. E poi abbiamo rivisto il licensing: prima erano separati, ora ce ne sono solo tre: traditional, permissive e commercial. Gli ultimi due consentono la modifica del codice per poi rivendere l’elaborato. Il permissive, in particolare, soddisfa i primi 4 criteri di Osi, secondo la Free Software Foundation. Questo fatto ha un valore semantico e ora abbiamo licenze simili a quelle di FreeBds, che poi è quella di Apache. Insomma, se mai dovessimo aprire tutto Windows, sceglieremmo FreeBsd“.


Ma l’opensource per Microsoft è un punto di arrivo o di partenza? “È un punto di partenza. Teniamo presente che alcune cose è bene metterle in comune, altre vanno protette. Noi siamo comunque una società commerciale e vendiamo software“.

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