Home Cloud Il cloud è nello Slope of Enlightenment, cosa significa

Il cloud è nello Slope of Enlightenment, cosa significa

Analizzare il cloud aiuta a porre nella giusta prospettiva gli hype di oggi, che al momento comprendono Intelligenza Artificiale e Internet delle Cose. Può essere d’aiuto infatti per rispondere a varie domande: Qual era la promessa? Qual è stato il risultato finale? È stato davvero utile?

Il cloud è un buon punto, dato che secondo le definizioni di Gartner ha ormai percorso l’intero hype cycle e sta percorrendo lo Slope of Enlightenment, letteralmente “salita dell’illuminazione”, quarta fase dello sviluppo di un fenomeno tecnologico, che prelude a quella del Plateau of Productivity, ossia il livello di normalizzazione produttiva.

Esaminiamo dunque la realtà attuale del cloud, come ha cambiato le regole del gioco, dove sta andando e come dovremmo affrontare la questione del monitoraggio e lo facciamo raccogliendo il parere di un CTO, Steven Feurer di Paessler.

Concluso l’hype cycle, è apparso chiaro che il cloud è una realtà che sta generando fatturati importanti. Secondo un recente articolo di Gartner sul passaggio al cloud, la spesa IT su sistemi, infrastrutture e servizi cloud crescerà di oltre 23 miliardi di dollari entro il 2021.

La tecnologia ha anche trasformato il modo di pensare del mondo del business. Non si tratta più di chiedersi se dovremmo passare al cloud, ma piuttosto a quale cloud.

Ciò non significa solamente chiedersi quale service provider scegliere ma anche se scegliere cloud pubblico o privato. Stiamo ora assistendo alla migrazione di alcuni servizi (circa il 5%) dal cloud pubblico a quello privato e probabilmente ciò avviene perché questi servizi non sono stati nel cloud pubblico sin dagli inizi.

Se la destinazione non è il cloud

Un altro aspetto che è apparso chiaro è che il cloud non è una destinazione, come poteva sembrare nei momenti di picco dell’hype, ma piuttosto un metodo di funzionamento. In quei momenti di picco sembrava che le alternative fossero tra stare on-premise o adottare il cloud e lì spostare tutto. È evidente come questa fosse una falsa dicotomia: la questione non è scegliere tra l’uno e l’altro.

La domanda che molte aziende e organizzazioni si stanno ponendo non è come fare a entrare nel cloud ma in che modo il cloud può supportare la loro attività. Si tratta di un passaggio importante che modifica il modo in cui le soluzioni sono progettate e costruite.

Significa esaminare attentamente tutti i servizi richiesti e decidere quali possano essere ospitati in un cloud pubblico, quali in un cloud privato e quali dovrebbero essere mantenuti su un’architettura tradizionale on-premise. Criteri come la scalabilità richiesta ai servizi, il middleware per le parti da spostare e la sicurezza giocano tutti un ruolo nel decidere quali elementi posizionare nel cloud.

Steven Feurer, CTO di Paessler

Cloud, ambiente ibrido

Quando alcuni elementi e servizi dell’infrastruttura vanno nel cloud e altri restano on-premise, si ha un’architettura ibrida. Questa è la realtà per la maggioranza delle infrastrutture IT dell’era moderna.

Sostanzialmente, l’on-premise non scomparirà. Molte aziende che devono avere i dati disponibili localmente per attività di produzione probabilmente preferiranno archiviarli localmente, vuoi per questioni di ampiezza di banda, vuoi perché banalmente non intendono mettere i propri dati di produzione in un cloud pubblico.

Le istituzioni finanziarie, ad esempio, maneggiano dati estremamente sensibili e li mantengono on premise per questioni di sicurezza. Certamente, gran parte dell’elaborazione dei dati avviene in locale, ma per molte di queste imprese parte dei dati finisce comunque nel cloud per finalità di analisi, dopo essere stati ovviamente anonimizzati.

Tutto ciò dà origine ai moderni ambienti ibridi che sono sempre più complessi: alcuni dati e servizi sono nel cloud pubblico, altri sono nel cloud privato e normalmente esistono strumenti di orchestrazione che collegano il tutto. Uno dei maggiori contributi alla complessità viene dal fatto che la rete cambierà in continuazione. Appena i fornitori di servizi cloud modificano una funzionalità esistente o introducono nuovi servizi, le aziende dovranno modificare le proprie architetture e infrastrutture per poter rimanere al passo.

Questa nuova complessità ha un effetto sulla capacità di risolvere i problemi: l’amministratore IT deve poter capire dove è il problema.

Nell’attuale scenario fatto di ambienti diversi e infrastrutture ibride, anche il monitoraggio si deve adattare. I principi che sono stati validi per decenni non sono più sufficienti (per quanto continuino a essere validi per le infrastrutture tradizionali). Per capire esattamente come il monitoraggio si debba adattare, dobbiamo in primo luogo considerare come l’attuale situazione dell’IT modifichi il modo di monitorare.

Per cominciare, i principi tradizionali del monitoraggio sono tuttora applicabili alle tradizionali reti e all’hardware on premise, come router, switch, server. Tutto resta uguale qui.

In secondo luogo, è possibile monitorare i servizi che girano nel cloud pubblico usando gli strumenti e le metriche fornite dal service provider. Fin qui sembra tutto abbastanza semplice. Ma la realtà è che l’ambiente contiene tecnologie diverse e probabilmente alcuni servizi gireranno su più cloud. E ciò introduce un nuovo livello di complessità ai fini del monitoraggio.

Come soddisfare allora i nuovi requisiti del monitoraggio? Ecco di seguito alcune vie che il monitoraggio deve seguire per affrontare la situazione attuale.

Monitorare il cloud

Poiché i service provider già offrono una propria forma di monitoraggio, il software di monitoraggio della rete non deve preoccuparsi di questi servizi. Sta invece ai professionisti IT decidere quali metriche abbiano più valore e e trovare il modo di metterle in una qualche forma di contesto (si veda più avanti). Qui è essenziale cercare di evitare il vendor log-in, perché altrimenti ci si potrebbe trovare a doversi loggare su diversi provider per ottenere i dati.

Se le metriche arrivano da diverse fonti, la strategia dovrebbe essere di costruire un’unica vista di tutti gli aspetti vitali dell’infrastruttura. Ciò significa raccogliere e aggregare dati, visualizzarli su un’unica dashboard per fornire una vista unificata dell’intera infrastruttura. Il segreto di questo approccio sarà di non produrre una vista 1 a 1 dell’infrastruttura, ma di raccogliere solo le metriche più importanti in un unico luogo.

Usare le REST API

Storicamente, SNMP è stato il protocollo dei dispositivi di monitoraggio poiché era ubiquitario. Ancora oggi, praticamente ogni pezzo di hardware costruito è accessibile mediante SNMP. Ma con l’avvento dei servizi cloud e dei dispositivi IoT SNMP è destinato a non essere più lo standard di fatto.

Per una serie di ragioni, la direzione è verso le REST API. In primo luogo, i servizi che girano sul cloud possono essere interrogati usando le REST API. Inoltre, sempre più produttori di hardware forniscono REST API che possono essere usate per raccogliere dati sullo stato di salute e il funzionamento del dispositivo. E l’uso delle REST API per il monitoraggio dell’hardware e dei servizi ha un ulteriore vantaggio: è possibile portare i dati nella vista unificata.

L’adozione del cloud e l’integrazione nell’infrastruttura IT esistente aumenterà nei prossimi anni e sarà sempre più importante trovare modi per riunire tecnologie, piattaforme e servizi in una singola vista.

 

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