Cloud computing e diritto, fra dubbi e certezze

Molti i primi, davvero poche le seconde. Facciamo chiarezza sugli aspetti giuridici della materia, come emerso da un workshop Bocconi.

«In grave ritardo, nel nostro Paese il diritto arranca di fronte alle novità tecnologiche».
L’incipit condiviso è quello che, in un recente incontro organizzato presso l’Università Bocconi di Milano, ha visto docenti, associazioni e giuristi confrontarsi in merito a “Cloud computing e diritto”.

Ne è venuto fuori un dibattito a più voci dove, al di là dell’intendersi sulla definizione del paradigma informatico in oggetto (stile di computing? offerta di applicazioni? forma di virtualizzazione on demand di hardware e software da tramutare i servizi?), a prevalere è la sensazione che il diritto italiano si stia muovendo in un perimetro dai confini non ancora definiti.

Il tutto nonostante un recente studio condotto da Bsa in collaborazione con Galexia posizioni l’Italia al sesto posto su 24 Paesi nel sostenere lo sviluppo di un mercato integrato nel cloud grazie all’esistenza di normative vigenti in materia di diritto d’autore che, “se pure con qualche dubbio in merito alle pratiche di enforcement, da noi ben si applicherebbero anche ai servizi cloud, mentre il tema della tutela della proprietà intellettuale risulterebbe minato dall’eccessiva lunghezza degli iter giudiziari” che caratterizzano il nostro Paese.

Intanto, dalle parti di Via Sarfatti, tra le mura della Business School più blasonata d’Italia, nessuna risposta operativa ha fatto capolino.

Solo qualche indicazione di metodo o, quanto meno, una classificazione di quelli che sono gli elementi chiave da considerare, visto il quasi milione di posti di lavoro che, secondo Neelie Kroes, vice president della Commissione europea, il cloud computing potrebbe creare nel Vecchio Continente.

Peccato che da noi, a dispetto di una tecnologia nata negli Stati Uniti per abilitare le start up e consentire alle piccole imprese di partire con una dotazione informatica e di crescere in base a specifiche necessità, il cloud sia affare soprattutto della media e grande impresa, quando il dato evidenziato da Francesco Sacco, docente di management e tecnologia presso l’Università Bocconi, è che «applicazioni a cui tutti possono accedere via browser hanno un impatto economico importante in termini di produttività soprattutto per le Pmi».

Qualche speranza la dà il fatto che nel Decreto Semplificazione il legislatore ha previsto anche il cloud.
In quale forma e con quale portata per le imprese e la Pubblica amministrazione di casa nostra lo sapremo solo a giugno.

Speriamo qualcuno tenga conto, come ha fatto Sacco «di distanze, costi dell’energia e infrastrutture, che vanno alimentate ma anche raffreddate in un Paese come l’Italia in cui la bolletta elettrica è tra le più alte d’Europa».

La buona notizia, anche a fronte del digital divide che continua a caratterizzare il nostro Paese è che, «se il cloud ha bisogno di banda, l’Lte ha la medesima latenza di una linea fissa ed è quindi perfetta – conclude Sacco – per utilizzare i servizi messi a disposizione e che girano sulla nuvola».

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