Che confusione! Ma noi startuppiamo…

Ricchi e Poveri del panorama “innovativo” italiano. Ai miei amici ci do PayPal: c’è dei bei pezzi.

Il titolo del libro “Tech and the City”, di Alessandro Piol e Maria Teresa Cometto, evoca paralleli tra un certo modo di prendere la vita e l’ambiente delle start-up di New York come alternativa alla Silicon Valley. Secondo gli autori, un Vc e una giornalista, il modello Ny dovuto alla lungimiranza e all’azione di Bloomberg -un tycoon dei media- sarebbe anche esportabile. Alla presentazione romana, ospitata al Maxxi da Giovanna Melandri, le osservazioni più contaminate sono venute dal pubblico: una domanda pubblica ha evocato il termine crowdfunding, mentre uno scambio privato ha portato all’ipotesi di un coworking ospitato dal Maxxi. E sulla domanda pubblica Piol ha sì detto che Kickstarter e il Decreto Passera si occupano di due cose diverse con la stessa etichetta popolare, ma magari era il caso di soffermarsi di più sul distinguo.

Si scrive networking, si legge festa
Al prossimo Codemotion s’incontrano almeno tre anime del mondo d’oggi: programmazione, start-up, makers. A nostro avviso si tratta di una convergenza occasionale e non programmatica, visto anche che le tre cose, sia detto esplicitamente, collidono. L’estrema qualità del percorso rivolto alla programmazione fatto negli anni dallo staff di Codemotion, poi rivolto alla programmazione in azienda, mal si sposa con la festaiola confusione delle start-up. Il mondo makers è poi ancora in pieno hype, ancora preso dalla foia di chi non sapeva usare l’hardware e adesso può: cambiatori del mondo su rieducational Channel!, urlerebbe Vulvia, gente che non avendo mai preso in mano una raspa vedono in personal fabricator da 500 euro la soluzione ai mali del mondo.
Va detto che negli anni passati l’evento dedicato al software, allora esclusivamente romano, rifiutava le presentazioni di quel settore, oggi adottato come tanti altri. E hai voglia a dire che l’economia maker, intesa come piccole produzioni in vendita, grazie all’e-commerce e a Paypal è un modello di nuova imprenditorialità (dal basso) che si unisce a quello delle start-up (dall’alto): le vere uguaglianze stanno nell’approccio festaiolo (oggi si chiama “networking”) e nell’assoluta mortalità delle mirabolanti iniziative.

Più acceleratori che motori
Anche la situazione delle start-up, motori della nuova economia, è tutt’altro che chiara. L’Italia è passata da pochi business angels che erogavano seed da 30-50k a venture che partono da 300k in vista di più corposi investimenti. La strategia Passera ha creato una nuova categoria di start-up, delle quali al momento ne sono state registrate 307. Ma parallelamente si parla sempre meno di nuove iniziative e sempre più di ambienti di facilitazione.
Un nostro amico, Emil Abirascid, che di questo vive con passione e successo, ha recentemente twittato che “fra un po’ ci saranno più incubatori e programmi di accelerazione che start-up”. Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo questa impressione.

Trentenni sull’orlo di una crisi lavorativa
Il movimento maker è forte e l’evento europeo all’inizio di ottobre ci dirà se Roma e l’Italia possono inserirsi con forza da subito, facendo sistema con le grandi risorse che abbiamo. Ma siamo ancora nell’hype, la polvere è alta e non si vede lontano.
Dalla presenza di programmatori qualificati non si può prescindere e qualsiasi iniziativa professionale porta acqua a questo mulino. Ancora più importante è spiegare ai programmatori come essere professionisti, diritti e doveri in un ecosistema sano. Questa è la seconda specificità di Codemotion, e non deve essere persa né diluita con altri eccipienti, ancorché più colorati.
La start-up è la fase iniziale dell’avviamento di un’azienda. L’iniziativa richiede un’idea, uno staff motivatissimo e un frenetico lavoro per anni. In Italia le banche non lo finanziano e oggi trovare un finanziatore che sia anche partner industriale è molto difficile. Gli sgravi fiscali del decreto Passera non si rivolgono a loro, ma a più complesse iniziative che potrebbero creare impresa ed occupazione (ma non sono start-up come vengono popolarmente intese).
Certo è che l’economia start-up italiana è al punto di svolta: o ce la facciamo, oppure i circa ventimila startuppers (termine apparentemente inventato in Italia) che sognano Zuckerberg (ma vivono di lavoretti) smetteranno di sognare la California e -ormai trentenni- cercheranno un lavoro.

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