Channels 2003 e la nuova realtà del mercato

Chi nutre ancora speranze di una ripresa alimentata dal mercato è meglio se si mette il cuore in pace. Non c’è nessun fondato segnale che questa ripresa possa presentarsi all’orizzonte. Il mercato It e quello delle Tlc sono lo specchio di una realtà po …

Chi nutre ancora speranze di una ripresa alimentata dal mercato è meglio se
si mette il cuore in pace. Non c’è nessun fondato segnale che questa ripresa
possa presentarsi all’orizzonte. Il mercato It e quello delle Tlc sono lo
specchio di una realtà politica e sociale in bilico tra un possibile conflitto e
un ritorno alla normalità (da ridisegnare). Mai come in questo periodo
l’economia è ostaggio della politica. E It e Tlc sono alla ricerca di una nuova
identità e di un nuovo equilibrio. Quello vecchio è ormai saltato e non c’è
speranza di rimetterlo in sesto. Un evento come Channel 2003 di Sirmi serve
proprio per identificare i punti fermi della nuova realtà di mercato che valgano
per tutti gli operatori, indifferentemente dal fatto che siano produttori, trade
o clienti finali.


La strigliata di Romanelli
Il vero messaggio forte della manifestazione è arrivato da
Luigi Romanelli, responsabile infrastrutture tecnologiche del gruppo
farmaceutico Roche. Romanelli ha ricordato una cena con il suo
capo, anzi la capo, dei sistemi informativi Roche a livello mondiale. Alla
domanda su quali saranno le strategie di investimento It per il futuro la
signora dell’It Roche è stata lapidaria: “Abbiamo speso tanto in questi
ultimi anni, adesso dobbiamo raccogliere i frutti”
. Quanti altri clienti
d’impresa sono giunti alle stesse conclusioni in questi mesi. Tanti, la
maggioranza. E non è solo una questione di mercati internazionali instabili e di
incertezze politico economiche. Centra anche la capacità dei fornitori di essere
più credibili. Sentite come Romanelli striglia una platea di produttori
di hardware e software e di operatori del trade. Prima la carota e poi
il bastone: “Voi fornitori – esordisce – potete essere i miei più
preziosi alleati. Io sono come voi un fornitore di servizi, solo che i miei
clienti sono costituiti dalle strutture operative, dalle divisioni, dalle
filiali della mia stessa azienda. Non è che per il fatto che la busta paga
arriva da una stessa amministrazione questi clienti siano più teneri, rispetto a
quelli “esterni”
.


Anzi. Se voi mi fornite della argomentazioni convincenti – prosegue – io
saprò essere convincente. Ma da quel momento in avanti la vostra
“soluzione” porta la mia faccia e la mia credibilità. Che viene
intaccata e compromessa se non si rispettano i tempi d’implementazione, se le
promesse sui contenuti del progetto non vengono mantenute, se i costi sfuggono
ai vincoli di budget concordati”. Brutte abitudini che rischiano di diventare
una regola. La sede è quella giusta per stigmatizzare le cattive abitudini e
Romanelli punta l’indice contro il pessimo costume di palleggiarsi le
responsabilità. “Quando su un progetto converge il lavoro
di più fornitori, e sorge un qualche problema, chissà perché la colpa è sempre
di quell’altro fornitore che non ha fatto quanto stabilito. Quando si tratta di
vendere un accordo bene o male si trova ma quando si tratta di gestire i
problemi la colpa sta sempre da un’altra parte”
. Il sistema dell’offerta
merita di essere ridisegnato con una nuova gerarchia di valori, prima il
criterio della responabilità e poi le priorità di business. E il problema è
urgente perché, come ammonisce Maurizio Cuzari, amministratore
delegato di Sirmi, l’unica vera strategia di mercato oggi è basata su un
evergreen dell’economia: mors tua vita mea. Troppo drastico?
Brutale? pessimista? No, sono i numeri non lasciano spazio ai sorrisi. “Chi
crescerà lo farà a danno dei concorrenti
– sentenzia – e chi vorrà
tenere le proprie posizioni dovrà pagare un prezzo più elevato rispetto allo
scorso anno in termini di customer retention, dunque dovrà rinunciare a una
parte dei profitti”
. Non c’è via d’uscita dunque, il 2003 ha riportato di
colpo in auge la legge del più forte? ”


Ci pensa Romanelli a sgombrare il campo dalle ipocrisie più irriducibili:
“non è mica obbligatorio essere partner e quando si decide
di esserlo non sta inciso nella pietra che la partnership debba essere a 360°.
Io come cliente non ho bisogno di rivendere in azienda che il mio fornitore è un
buon partner. Io ho bisogno di sentirmi dire dagli utenti aziendali che il
fornitore scelto è un buon fornitore, fa quel che promette in tutto e per tutto.
Se poi è anche un partner, se condivide con me le sue linee strategiche, se mi
coinvolge nei processi di sviluppo, sono contento e serve. Ma tutto questo
valore aggiunto viene dopo, prima deve mantenere gli impegni”
. A buon
intenditor poche parole. “Tempi, costi e contenuti, se non si rispettano
questi parametri
– denuncia – è meglio non sprecare la
parola partner”
. Tutto questo tradotto nel linguaggio del mercato significa
che è più difficile vendere, che i clienti sono più esigenti, che tutto
l’apparato organizzativo dei fornitori deve fare un salto di qualità.


 


Maestrale e bonaccia


La sintesi di Cuzari è efficacissima: “Con il maestrale che tirava due
anni fa volavano anche i polli. Con la bonaccia che c’è adesso per volare
bisogna essere attrezzati, altrimenti si rimane a terra”
. E’ la solita
storia: non basta più stare in “negozio” e aspettare che i
clienti entrino, occorre studiare il territorio, le aziende, gli enti, la
Pubblica Amministrazione e poi bisogna andarli a trovare con delle idee e con
delle proposte. Perché tutti si lamentano per la mancanza di segnali forti, ed è
vero. “Ma poi il mercato è pieno di segnali deboli e sono in pochi ad
ascoltarli
– denuncia polemicamente Maurizio Motta,
direttore commerciale di MediaMarket -. Il vero problema è
che bisogna gestire bene i modelli di consumo e per raggiungere questo obiettivo
bisogna coinvolgere pariteticamente tutti gli attori della catena: fornitori,
trade e consumatori. Non c’è un attore più importante, noi non crediamo a quelli
che dicono che il consumatore viene prima di tutto, non è quella la soluzione al
problema”
. Ma qual è allora? “L’industria fa il suo mestiere quando
sforna tecnologie, in continuazione. Ma deve farlo lavorando insieme al trade e
non solo passando al trade i prodotti. Questo significa che al
trade spetta il compito di individuare il modo migliore per servire il
consumatore e l’industria deve condividerlo, deve farlo proprio”.
Ancora
una volta, banalizzando, ciascuno deve fare il proprio mestiere ma deve farlo
insieme a tutti gli attori della catena.


Al trade non si chiede solo di portare dei prodotti su uno scaffale a prezzi
competitivi. Non basta più. Il trade deve andarsi a cercare i clienti, li deve
convincere prima ancora che entrino nel punto vendita, deve
studiare i gusti, i comportamenti, le debolezze, deve coltivare il rapporto
anche quando il cliente compra poco. E deve saper usare tutti i mezzi vecchi e
nuovi che il mercato mette a disposizione, senza pregiudizi. Ovvero senza
pensare che ad esempio il tanti vituperato volantino sia inadeguato con
l’avvento del web. No, ci vuole sia il volantino sia l’e-mail, entrambi svolgono
un loro specifico compito. La tesi di Motta è così
banalizzabile: i vendor fanno ricerca e sviluppo sui prodotti e
poi cercano di venderli. Il trade deve fare ricerca e sviluppo sui processi di
vendita e sui mezzi e sugli strumenti di marketing. E poi li mette a
disposizione delle vendite. Motta la mette giù dura anche con il mondo
dell’industria: “Non conta solo chi è leader di mercato, ma conta chi può
diventarlo”
. Non esistono leadership stabili, i risultati veri si
realizzano giorno per giorno. Banale? Ovvio? Forse si, ma Motta avverte che non
basta avere un bel marchio e una grossa quota di mercato per convincere i
clienti. “Bisogna saper proporre tecnologie innovative e inventarsi
continuamente iniziative convincenti”
. Dall’analisi che via via affiora
sembra uscire una stagione a tinte fosche ma Cuzari smorza i toni, allarmismo
sì, ma ragionato. “Se proprio devo scegliere un colore per questo
periodo
– scherza – opterei per il beige. Non è drammatico come il
nero, non è nebbioso come il grigio”.


 


Le pillole di Cuzari


Scherzi a parte, Cuzari smette la giacca di padrone di casa per indossare
quella di analista e con molte precauzioni qualche pillolina di
futuro prova a distillarla. Ben sapendo che con una Guerra
incombente (al momento in cui scriviamo è “solo” incombente e speriamo che non
si concretizzi n.d.a.) qualsiasi forecast può essere cancellato e riscritto in
poche ore. “La crisi del 2002-2003 è come quella del 1993 una crisi di tipo
strutturale. All’epoca furono necessari tre anni circa per uscirne e il mercato
che ne sortì era profondamente – strutturalmente – diverso da quello
precedente”
. Da quella stagione uscirono vincitori coloro che si mossero
per tempo alla ricerca di un nuovo modello. “Nel 2003 si è toccato il
fondo
– prosegue – ma non è ancora chiaro quale sia la via per uscirne
fuori. Se non per alcune tendenze che cominciano a delinearsi. Ad esempio non
saranno i prodotti a “salvare” il mercato. Conteranno ancora molto ma il driver
non sarà più quello tecnologico. E poi il canale. La maggior parte del business
passa attraverso il canale. Ma continuerà ad essere così?
– si domanda –
E’ proprio certo? Si stanno ridisegnando i confini del mercato e nessuno può
stare tranquillo”
.


E qui arriva il colpo di teatro, un po’ a sorpresa Cuzari va
a pescare nel mare magno dei dati Istat e denuncia che da quelle statistiche
ufficiale emerge come in Italia ci siano 44mila terze parti informatiche.
“Un dealer ogni mille abitanti”. E subito si interroga
su cosa fanno tutti questi operatori e su cosa possono continuare a fare, così
in tanti. Anche perché i clienti non crescono e anzi quelli che ci sono comprano
meno. “Mors tua vita mea – insiste Cuzari. Si deve lavorare per
andare sui clienti del concorrente e guadagnare lì le quote che il mercato non è
in grando di generare. Chi non lo fa si ritroverà i concorrenti in casa”
. E
le dinamiche? “Il settore dealer è in contrazione
dichiara –, quello delle catene di computershop è in crisi. L’electronic
store cresce. La vendita diretta è in controtendenza e progredisce ma solo per
il fattore rigenerante delle gare della Pubblica Amministrazione”
. Se i
canali piangono i mercati verticali non sorridono, sentite un po’ la sintesi
dell’analisi di Cuzari: “Il consumer rallenta, la grande speranza chiamata
pc-server è ormai prossima alla saturazione, le Tlc sono in decremento, la tanto
osannata convergenza tra It e Tlc non solo non c’è stata ma non
è nemmeno all’orizzonte sia per quanto riguarda le tecnologie e ancor meno per
quanto riguarda i canali. Siamo ancora in presenza di due mondi, due mercati e
due grandi categorie di operatori”
. Un’occasione sprecata o un miraggio
irrealizzabile? Entrambe le cose. Ma aggiungiamo pure che il marketing negli
anni d’oro della new economy aveva avuto il piede pesante e aveva accelerato
duro su processi di convergenza e di integrazione tra tecnologie e culture di
business che necessitano invece di tempi lunghi.


 


Una spruzzata di colore


E le note positive? Se il colore scelto è il beige qualche spruzzatina di
colore dovrà pur esserci. Poche, ma ci sono: “Crescono i servizi di
gestione, vengono sì messi in discussione i nuovi progetti ma si cercano
soluzioni dignitose per non perdere competitività. Outsourcing, Asp, Xsp hanno
promesso più di quanto hanno mantenuto ma hanno ancora qualche carta da giocare
prima di chiudere la partita. Le Tlc mobili tengono e il mobile in generale non
ha esaurito la sua spinta, i motori non si sono spenti. E poi ci sono il WiFi e
l’Ip Telephony che possono fare bene. Ma un rivenditore, un Var, una
softwarehouse come si orienta in questo mercato in tinta beige. Potrebbe o…
dovrebbe accelerare i processi di business sui propri clienti”
. Che
è?!?
L’idea, qui estremamente semplificata, di Agostino
Santoni
direttore channel e smb organization della Personal System
Group di Hp Italia è proprio quella di trovare degli acceleratori di business.
Facile a dirsi ma cosa vuol dire? Proviamo a semplificare il suo ragionamento.
Qual è il momento migliore per un mercato? Quando l’introduzione di un prodotto
altamente innovativo apre a un fornitore le porte dei clienti senza l’ingombro
dei concorrenti che ancora non si sono adeguati. Quella è la fase più ghiotta
nella quale tutti vorrebbero lavorare. Oggi, è inutile dirlo, non è così. La
concorrenza è altissima ovunque, con prodotti comunque comparabili e con spazi
sempre più esigui per differenziare la propria offerta da quella del concorrente
che pur di portare a casa la commessa rinuncia magari al margine e rovina il
mercato. E la proposta di Santoni? Fare di ogni cliente un
mercato a parte, parlare il suo linguaggio e portargli una
soluzione così specializzata sulle sue specifiche di business che rappresenta di
per sé una barriera contro i concorrenti. In altre parole: investire sui
clienti. E i temi del linguaggio e della conoscenza del cliente li sentiremo
spesso nel corso di quest’anno. Ci pensa Romanelli a puntare il dito estraendo
un bell’esempio dal suo cilindro pieno di aneddoti e di esperienze. Questo è
gustoso quanto basta per lasciarci capire che se gli uomini dell’It continuano a
uscire dal retrobottega masticando il linguaggio dei loro tecnici faranno sempre
più fatica a convincere i clienti che contano. “Un bel giorno
racconta – dopo aver svolto un’accurata analisi della rete della nostra sede
mi ritrovo davanti all’amministratore delegato a chiedere un cospicuo
investimento necessario per rifare interamente la struttura del networking
aziendale. L’amministratore mi scruta e senza stare tanto a disquisire sui
dettagli chiede quante scatolette di Aulin
(uno dei
prodotti di punta della Roche. n.d.r.) in più una rete come questa avrebbe
permesso di vendere”
. Bella domanda, non c’è che dire. Romanelli si chiude
nel suo ufficio, mette sotto torchio i suoi collaboratori e tra Roi (Return of
investment) e Tco (Total cost of ownership) riesce a dare una consistenza
numerica alla prospettiva di un simile investimento. “Mi ripresento
dall’amministratore delegato
– conclude – e indico esattamente quante
scatolette di Aulin in meno Roche rischierebbe di vendere senza il rinnovo della
rete”
. Commento finale? L’It è strategica tanto per
acquisire un vantaggio competitivo quanto per non farsi male.

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