Casual gamer, i ricchi non giocatori

Un target fatto più di donne che di uomini e con un’età media più avanzata. Hanno poco tempo libero e vogliono giochi semplici

Gioca con i videogame ma non si considera un gamer. Perché ai videogiochi
dedica solo una ventina di minuti al giorno che impiega per costruire il suo
impero fatto di ristoranti. Christine Zwerling, 34 anni di professione stock
option administrator, per una ventina di minuti al giorno si dedica alla
ristorazione virtuale
di Diner Dash, un gioco che ha scaricato dalla
rete al costo di una ventina di dollari. La manager è il perfetto esempio di
casual gamer, una categoria di persone che ha poco tempo libero e molti più
soldi da spendere e che entro il 2010 potrebbe formare un gruppo di un’ottantina
di milioni di persone nel mondo. Secondo l’Entertainment software
association sono circa 56 milioni
che potrebbero diventare ottanta nel
2010. Per un fatturato che Jupiter research stima di circa 350 milioni di
dollari oggi e un miliardo nel 2008 da realizzare soprattutto in Asia.


Lontani anni luce dal gigantismo che domina il mondo dei videogame “veri”, quello di Halo 2, Prince of Persia e Lara Croft, il casual gamer vuole giochi semplici dove non ci sia bisogno di sfogliare il manuale, che gli costino al massimo venti dollari e siano scaricabili su differenti devices.
Riserva di caccia per
software house minori

che non riescono a stare in un mercato che chiede giochi sempre più costosi, il casual gamer è un pubblico interessante anche per i portali. Yahoo infatti ha recentemente rifatto l’area giochi proprio in funzione dei giocatori occasionali e anche Time Warner è in procinto di lanciare Game Tap, sito indirizzato a un target formato da più donne che uomini con un’età media più alta rispetto ai giocatori classici.
Senza contare che ospitando sulle proprie pagine Web siti dedicati a questo genere di pubblico i portali possono dividere le revenue e garantirsi un’audience maggiore che si riflette sulle proprie tariffe pubblicitarie.
Il
costo di sviluppo di questi titoli
è di circa 50.000 dollari, un’inezia
se confrontata con i venti milioni di dollari necessari per i giochi più
affermati. Un costo che assicura anche ottimi margini ai produttori che possono
arrivare anche al 90% di ogni singola vendita e che permette di distribuire il
rischio. Sbagliare un titolo non vuole dire giocarsi l’azienda, un motivo in più
per giocare con più coraggio la strada dell’innovazione.

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