Business intelligence. Una marcia in più per il lavoro condiviso

La Business intelligence è quella capacità di raccogliere e ordinare i dati che provengono da workflow aziendali, interni ed esterni all’organizzazione, applicando criteri di analisi che aiutano il management a prendere decisioni più mirate a strategic …

La Business intelligence è quella capacità di raccogliere e ordinare i dati che provengono da workflow aziendali, interni ed esterni all’organizzazione, applicando criteri di analisi che aiutano il management a prendere decisioni più mirate a strategiche.

Triangolando meccanismi di tracciamento dei dati con sistemi di archiviazione e particolari criteri di gestione, infatti, è possibile monitorare in tempo reale l’andamento del business, consentendo un livello di proattività che fa della Bi una tecnologia realmente sfidante rispetto a un discorso di competitività imprenditoriale.

La possibilità di effettuare valutazioni e stime mirate avvalendosi di On-line analytical processing (Olap) e cubi dimensionali, dashboard e scorecard, binomi di query e reporting, sistemi di alerting, forecasting o data mining, permette di individuare l’andamento delle prestazioni aziendali e di fare previsioni sulle possibili evoluzioni del business. Uno dei punti di forza della Business intelligence è il suo valore trasversale, poiché la raccolta, la conservazione e la gestione di un’elevata quantità di dati e informazioni, devono essere gestiti, elaborati e resi disponibili attraverso una reportistica chiara e immediata, che risponde a qualsiasi tipo di domanda: del marketing, dell’It, del Cda, dei responsabili della produzione, dello sviluppo e via dicendo.

Nonostante la crisi, il mercato della Bi sta movimentando un fatturato interessante e, soprattutto, in crescita. Secondo gli ultimissimi dati espressi nel Rapporto 2009 Osservatorio Business Intelligence del Politecnico di Milano – School of Management, il volume di affari che ruota attorno a questa tipologia di sistemi ha registrato un aumento nel 2008 che è proseguito nel primo semestre del 2009 con un valore incrementale tra l’8 e il 12%.

«Anche le prospettive di investimento in applicazioni di Bi per la maggior parte delle aziende del campione si mantengono favorevoli per il prossimo triennio, – ha spiegato Carlo Vercellis, professore ordinario del Politecnico, nonché responsabile della ricerca – con stime che oscillano nell’ordine dell’8% sia sul versante del software che dei servizi accessori di integrazione, di consulenza e di formazione».

Le previsioni degli analisti pongono la Bi come un comparto nettamente al di sopra delle performance rilevate in altri ambiti applicativi del settore Ict, il cui incremento medio si aggira attorno a un 3% annuo.

«Quando abbiamo attivato l’Osservatorio, l’anno scorso – ha proseguito Vercellis -, sapevamo di rivolgerci a un tema di grande attualità e di rilevanza strategica per le imprese e la Pa. Rispetto a un discorso generalista, in questo secondo anno di attività abbiamo preferito concentrare le nostre indagini su un numero ristretto di settori industriali e di servizio tra quelli secondo noi particolarmente significativi: telco & utility, media, entertainment,manufacturing, fashion & retail».

I ricercatori hanno analizzato novanta casi di studio che hanno permesso di identificare alcune best practice nei processi di adozione dei sistemi di Bi, evidenziando i nessi intercorrenti tra l’utilizzo delle metodologie legate a questo approccio tecnologico e l’ottimizzazione delle performance. I risultati sono stati presentati in occasione di un convegno intitolato “Ottimizzare le performance con i sistemi di Business intelligence”.

«Il ruolo dei sistemi di Business intelligence – ha osservato Vercellis – è quello di esplorare i dati per ricavare informazioni e conoscenze utilizzabili nel corso dei processi decisionali, mediante logiche di estrazione flessibili, metodologie di analisi e modelli matematici di predizione e di ottimizzazione, indicati nel loro complesso come business analytics. Il miglioramento del processo decisionale si sviluppa lungo due dimensioni principali. Da un lato, se il decision maker dispone di informazioni e conoscenze più attendibili, ricavate sulla base di rigorose analisi quantitative, è in grado di formulare decisioni e piani d’azione che consentono di realizzare con maggiore efficacia gli obiettivi prefissati.

Dall’altro, la capacità di reagire in modo tempestivo alle azioni dei competitor e a mutevoli condizioni di mercato rappresenta un fattore decisivo per determinare il successo di un’impresa o, addirittura, per consentire la sua sopravvivenza».

Diversi livelli di maturità

Per quanto riguarda una profilazione dei modelli di Bi adottati dalle aziende del panel, sono state classificate quattro tipologie diverse: Bi basilare, Bi mirata, Bi integrata e Bi strategica. La ripartizione corrisponde all’effettivo grado di utilizzo degli strumenti in relazione all’estensione delle funzionalità di Bi impiegate, al loro grado di pervasività nell’ambito aziendale e al numero di knowledge worker che ne fanno effettivamente uso.

«Abbiamo rilevato diversi livelli di maturità – ha spiegato Carlotta Orsenigo, corresponsabile della ricerca -. I sistemi di Bi determinano i maggiori benefici quando vengono utilizzati per ottimizzare le performance dei processi core di un’impresa, contribuendo a ridurre i costi o ad aumentare i ricavi. Rispetto ai settori analizzati, possiamo dire che il principale vantaggio conseguito grazie ai sistemi di Bi rispetto a una riduzione della spesa riguarda il controllo delle prestazioni e il monitoraggio di Kpi, seguito dall’ottimizzazione della supply chain e, per il settore manufacturing, dalla pianificazione produttiva. I maggiori benefici in termini di incremento degli utili riguardano invece il targeting, l’ottimizzazione delle campagne di marketing e, limitatamente ai settori telco-utility e media, lo sviluppo di nuovi prodotti».

Guardando più nel dettaglio i risultati della ricerca, si nota come solo il 12% delle imprese del campione, appartenenti ai settori del fashion-retail e delle telco-utility si colloca nel quadrante della Bi strategica, utilizzando dati aggiornati con una latenza che arriva a pochi minuti per poter supportare i processi decisionali caratteristici di un’analisi del business in tempo reale. Questo tipo di realtà utilizzano widegt e barre personalizzabili di accesso ai dati e ai cruscotti, così come sistemi di alerting, che segnalano agli utenti specifiche condizioni di anomalia.

«In questi due comparti – ha aggiunto Orsenigo – le analisi di Bi e i metodi predittivi di data mining hanno accesso integrato sia alle informazioni strutturate che a quelle non strutturate, costituite da testi e ipertesti, e-mail, pagine Web, documenti, messaggi in forum e blog, accessi a siti Web». Per intercettare le opinioni del mercato, il canale on line si sta rivelando una fonte informativa preziosa, perché permette monitoraggi valutativi sulla Web reputation dei prodotti e dei servizi offerti, di intercettare le tendenze e le opinioni del mercato, di svolgere attività di marketing mirate.

Andando a scalare, nel quadrante della Bi integrata troviamo il 35% delle aziende del panel, in quello della Bi mirata si colloca il 20% mentre in quello della Bi basilare troviamo il restante 33%. Secondo gli analisti questa ripartizione descrive un percorso evolutivo che da una Bi confinata a una singola funzione e, al più, utilizzata episodicamente da altre funzioni, si va verso una Bi integrata, con un uso pervasivo di strumenti che consentono un accesso tempestivo ai dati e all’impiego di sistemi di misura delle prestazioni.

«A questo grado di sviluppo – ha affermato Orsenigo – si accompagna necessariamente una governance adeguata dei sistemi di Bi e spesso prevede figure e ruoli dedicati sia a livello It che a livello business. I risultati delle analisi possono essere pubblicati e condivisi tra gli utilizzatori anche se preposti a diverse funzioni. Il numero degli utenti, infatti, cresce in modo significativo e si estende virtualmente a tutti i knowledge worker che operano in un’azienda, senza distinzioni di livello gerarchico».

Tra le applicazioni di Bi più diffuse gli studiosi indicano gli strumenti di Business performance management (Bpm), soprattutto per l’analisi finanziaria, la pianificazione, il controllo e l’analisi delle vendite. La carenza di qualità dei dati presenti nei data warehouse e data mart destinati ad alimentare in ingresso le analisi di Bi rappresenta una barriera a un’implementazione di successo.

Guardando la segmentazione delle risposte relativamente al giudizio espresso sulla qualità dei dati presenti nei database aziendali, il 62% dei media, il 54% delle telco & utility e il 41% del fashion & retail ha risposto di ritenerla buona mentre il 54% del manufacturing la ritiene sufficiente. Questo significa che per ogni settore il grado di percezione è positivo rispetto all’edizione 2008 quando il giudizio era stato insufficiente.

I responsabili della ricerca sottolineano una significativa tendenza relativa all’impiego degli strumenti di Bi per favorire la comunicazione e l’interazione tra i knowledge worker all’interno di un’organizzazione nonché fornire supporto ai processi decisionali collettivi. La Bi, diventando parte integrante delle piattaforme di knowledge management, offre una marcia in più alla collaboration aziendale: velocizza i processi di scambio dei dati, recuperando qualsiasi tipo di contenuto e selezionando la qualità e la quantità delle informazioni per definire formule di servizio on demand/just in time. Questo fa profetizzare la nascita e lo sviluppo di una Bi 2.0 in cui, attraverso portali ad hoc, gli utenti potranno accedere alle informazioni direttamente dal browser e dagli strumenti di office automation.

«In questo ambito, più ancora che in altri – ha concluso Vercellis – la cultura degli attori coinvolti e l’impegno del management gioca un ruolo fondamentale come fattore critico di avviamento e di successo delle iniziative di Bi. Tra i principali ostacoli all’adozione di sistemi di Bi, infatti, figurano le resistenze culturali al cambiamento, soprattutto per i settori fashion e manufacturing, e la mancanza di commitment dei C-level. Di fatto, in alcuni casi i processi produttivi in questo tipo di imprese sono relativamente stabili, il che non favorisce l’innovazione nella gestione d’impresa. In Italia rimane comunque un dato di fatto: la natura molto spesso famigliare della proprietà e le dimensioni aziendali a volte sono un freno al cambiamento».

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