Brevetto come investimento. Ma per molti è solo un costo

La questione fin qui trattata si limita nello specifico al software ma riguarda la tutela dei marchi e il diritto d’autore. Ce ne parla l’avvocato Simona Lavagnini

Aprile 2005, Abbiamo chiesto a Simona Lavagnini, avvocato dello Studio
Lgv Avvocati di Milano di fare il punto della situazione sulla questione dei
brevetti e sul diritto d’autore, esponendo anche una sua opinione al riguardo.

Quali sono i punti principali della normativa attuale sui brevetti
e sui brevetti software in particolare?

Nell’ambito del nostro ordinamento da tempo esiste una normativa di tutela
della proprietà intellettuale che si divide in diversi settori, regolati
in modo diverso. Per le opere dell’ingegno, esiste il diritto d’autore,
che attualmente regola in Italia anche il software. C’è, poi, una
normativa che tutela i marchi e un’altra che tutela le invenzioni, ovvero
quella sui brevetti. Ultimamente si parla di brevetto di software, anche se
è un’espressione un po’ atecnica. In ambito europeo, infatti,
dobbiamo pensare alle "computer implemented invention" e cioè
invenzioni che riguardano anche un software, ma non sono identificabili con
il solo software.
Tradizionalmente l’invenzione si basa su alcuni requisiti che sono la
novità, l’originalità e il carattere tecnico, ovvero un
trovato che non esisteva prima nello stato della tecnica e che ovviamente ha
richiesto investimenti o una particolare creatività da parte dell’inventore
e che merita, dunque, una tutela esclusiva per un certo periodo di tempo (25
anni nel nostro ordinamento) per consentire all’inventore di recuperare
i costi, sia in termini di risorse umane, sia economici. E al soggetto che ha
brevettato l’invenzione è consentito di attuarla in esclusiva,
ovvero anche concludere contratti, remunerati, perché terzi la possano
attuare.

E il software?
Nel nostro ordinamento, come in quello europeo, esiste una norma che esclude
la brevettabilità del software in quanto tale e questo è in parte
dovuto a considerazioni di tipo tecnico e in parte a contingenze politico-economiche.
Dal punto di vista tecnico, un argomento contro è che il software in
quanto tale, essendo composto da algoritmi, in altre parole di idee non materiali,
cioè processi per migliorare una certa funzione, sarebbe più vicino
a un’idea che in sé non è brevettabile, piuttosto che a un’attuazione
di un’idea con carattere tecnico, che invece è brevettabile. Inoltre,
si dice che sulla brevettabilità del software e la sua non brevettabilità
incidono anche considerazioni pratiche economiche: quando per la prima volta
si affacciarono i pc, l’hardware, come bene materiale, era considerato economicamente
più importante del software e quindi si ritenne che per garantire uno
sviluppo migliore del mercato dell’hardware fosse meglio evitare un’appropriazione
accentuata del software. Quando, poi, gli investimenti sul software divennero
importanti si è cercato di trovare una tutela e la si è trovata
nel diritto d’autore che richiede requisiti diversi da quelli dell’invenzione
e ha anche capacità di tutela completamente diverse. Nonostante i dubbi
del caso, si ritenne che fosse una soluzione idonea, perché da un lato
tutelava le opere e dall’altra impediva l’appropriazione delle idee che stavano
dietro il software stesso.

E allora, che cosa sta accadendo?
Più o meno contemporaneamente è invalsa la prassi nell’Ufficio
europeo dei brevetti situato a Monaco, che pur rispettando il divieto di brevettazione
del software in quanto tale, brevetta i macchinari complessi che comprendono
anche il software, o comunque le modalità con cui il software riesce
a far operare una macchina diversamente rispetto al passato. Nel frattempo negli
Usa si è arrivati a una soluzione ancora più spinta, per cui si
brevettano anche i cosiddetti system method e cioè il software in quanto
tale. Dal punto di vista competitivo, tenuto conto della internazionalizzazione
delle aziende, non è irrilevante se due mercati contigui come quello
europeo e americano prevedono parametri diversi di accesso alla tutela. Ci sono
per questo tentativi di codificare la prassi dell’Ufficio europeo dei brevetti
in modo da renderla non controvertibile ed evitare che un domani queste invenzioni,
ora brevettate, improvvisamente non lo siano più. Dall’altra si sta discutendo
sull’opportunità di introdurre in Europa un sistema simile a quello statunitense.
In Europa siamo in uno scenario in cui viene esclusa la possibilità di
brevettare solo il software e si pensa esclusivamente a brevettare le "computer
implemented invention".
Questo è l’oggetto della direttiva in esame al Parlamento, ma in realtà
non soddisfa nessuna delle parti in causa: c’è chi sostiene che la brevettazione,
insieme al diritto d’autore, dà luogo a un sistema eccessivamente anticompetitivo
perché impedisce del tutto di creare soluzioni alternative e altri che
sostengono la necessità di brevettare quanto meno questo tipo di "computer
implemented inventions", perché altrimenti l’incentivo alla ricerca
e sviluppo in questo settore verrebbe drasticamente meno. Secondo questi ultimi,
le aziende sarebbero stimolate a spostare gli investimenti in Paesi dove la
brevettazione è riconosciuta e l’allocazione delle risorse sarebbe a
svantaggio del mercato europeo. Una teoria sostenuta, secondo la mia esperienza,
sia da piccole che da grandi imprese che, però, non sono nel mercato
del software pacchettizzato, ma nel mercato di macchinari oggi gestiti da software
complessi.

In Italia, a suo avviso, in quale direzione si sta andando?
In realtà, il brevetto in quanto tale è piuttosto sconosciuto
sul mercato italiano. C’è una tradizione italiana che vede il brevetto
come un aggravio di costi, poiché si deve pagare un brevettualista per
fare una buona descrizione, necessaria per ottenere la tutela, nonché
pagare le tasse di registrazione agli organi preposti e pagare avvocati se si
vogliono difendere questi diritti. Non è, invece, mai percepito come
investimento e non se ne capisce il valore aggiunto. Si deve poi dire che in
Italia c’è la brutta tradizione da parte di molte piccole aziende
di copiare, più o meno vastamente, prodotti altrui. Laddove non c’è
un norma sui brevetti, possono nascere realtà che utilizzano le idee
di un inventore, senza aver dovuto affrontare i costi di ricerca e sviluppo
che quell’idea ha richiesto e che pertanto vengono a trovarsi in posizione
di vantaggio.
Per contro alcune argomentazioni a sfavore della brevettabilità del software
in quanto tale sono comprensibili e condivisibili, ma dobbiamo anche far capire
il valore del brevetto e i vantaggi che un’impresa anche piccola potrebbe trarne.
È una questione di informazione e di complessità tecnica.

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