Bpm e Web 2.0 alla base delle Soa

Mancano gli skill? Creiamoli con università su Internet, suggerisce Ibm, che preconizza un’integrazione sempre più stretta tra social networking, gestione dei processi e architetture di servizi

Oltre 1 miliardo di dollari l’anno e più di 15.000 consulenti formati dagli Ibm Global Services negli ultimi 3 anni. Questo, in summa, è l’impegno profuso da Big Blue nelle tecnologie Soa secondo Steve Mills, senior vice president e group executive dell’area Software, che da sola realizza il 40% del fatturato di Ibm. I servizi costituiscono un componente fondamentale dei progetti relativi alle Soa. «Solitamente – precisa Mills – per ogni dollaro speso in software, 5 sono quelli spesi in consulenza e ridisegno dei processi. Il rapporto può essere rivisto al ribasso se le aziende decidono di attuare internamente l’integrazione delle applicazioni che, ancora oggi, costituisce l’ossatura portante di queste iniziative». Progetti che, ovviamente, non sono ancora alla portata di tutte le aziende.


«Chiaramente, non si tratta di soluzioni pensate per le piccole imprese, che hanno ben altri problemi di prima informatizzazione – prosegue Mills -. Tuttavia, in futuro, anche le medie realtà, con almeno 500 dipendenti, potranno cogliere appieno i benefici dei Web service. Anche queste aziende, infatti, sperimentano concretamente i problemi della scarsa flessibilità dei loro sistemi informativi, che non riescono ad adattarsi dinamicamente ai cambiamenti intervenuti sul business». I numeri di Ibm sembrano confermare la tendenza: 4.500 progetti Soa attivi nel mondo, 1.500 dei quali avviati nel corso del 2006, con l’obiettivo di raggiungere i 6.000 a fine anno. A guidare la “moda” delle Soa sono, ovviamente, i settori all’interno dei quali la stratificazione delle tecnologie avvenuta negli anni scorsi si somma al ruolo strategico che l’informatica riveste per le attività “core”. Ecco che, a ben guardare, a sperimentare i Web service sono le “solite” assicurazioni e banche, ma anche diverse aziende manifatturiere e amministrazioni pubbliche.


«Le realtà medio-grandi – tiene a sottolineare il manager – hanno implementato in media 4.000 applicazioni nel corso della loro vita. Spesso si tratta di soluzioni difficilmente integrabili e lo sforzo di sviluppo profuso non è replicabile».


Obiettivo, riuso


Scopo delle architetture di servizio è proprio quello di spingere verso la massima flessibilità e riuso delle tecnologie implementate, riducendo al minimo gli sforzi degli sviluppatori. Connessione punto-punto, Bpi (Business process integration), Bam (Business activity monitoring), e Business process management: tutte queste aree possono essere ricomprese sotto la bandiera delle architetture di servizio che, per loro natura, rappresentano una diversa modalità di connessione tra le applicazioni, con legami più saldi e componenti standardizzati, quindi più facilmente riutilizzabili. Tutti spazi all’interno dei quali Ibm si sta muovendo attivamente, come dimostrano le recenti acquisizioni di Webify, in area performance management, e di FileNet, nella gestione dei contenuti.


«E il mercato ci ha dato ragione visto che, ormai, secondo WinterGreen Research, deteniamo il 53% del mercato nelle Soa, con una quota in crescita rispetto al 46% dello scorso anno – puntualizza Tom Rosamilia, general manager Soa WebSphere Applications di Ibm -. In seconda posizione, la stessa fonte inserisce Microsoft, il cui peso sul mercato è sceso, nello stesso periodo, dal 10 all’8%». Un approccio che combina soluzioni software, molti servizi (indispensabili in questo tipo di progetti) e un po’ di sano hardware. «Oltre il 70% degli investimenti in It è speso nel capitale umano, solo il rimanente 30% in tecnologia – spiega Robert Leblanc, general manager Consulting Services and Soa di Ibm -. Ecco perché, oggi, il percorso delle Soa si incrocia con quello del Web 2.0. L’obiettivo è di migliorare la flessibilità delle soluzioni create, nell’ottica del controllo “etico” del social networking e, soprattutto, ridurre il divario tra le competenze richieste e quelle attualmente disponibili sul mercato. In questo senso, Second Life e il Web 2.0 giocheranno, in futuro, un ruolo fondamentale».


A tal proposito, Big Blue ha istituito di recente un’università virtuale, battezzata Soa Hub, su Second Life, con contenuti formativi per i tecnici, fruibili in totale autonomia. Sono già oltre 1,1 milioni gli sviluppatori che, nel mondo, sono focalizzati sulle architetture di servizio imperniate sulla tecnologia Ibm. Big Blue ha anche attivato un nuovo spazio interamente dedicato alle Soa sul sito di DeveloperWorks e ha presentato il prototipo (che diventerà un progetto attivo a tutti gli effetti a partire dal prossimo settembre) di un simulatore Bpm online.


«Tutto questo impegno – ha concluso Steve Mills – si somma all’aiuto concreto che, su questa strategia, ci arriva dai nostri business partner. Sono già 3.600 i cataloghi pubblicati, ovvero elenchi di servizi Web rintracciabili e riutilizzabili con il minimo sforzo da qualsiasi azienda utilizzi WebSphere». Sul fronte più prettamente tecnologico, infine, i vertici di Big Blue assicurano che l’integrazione delle tecnologie Ibm e FileNet è, oggi, più concreta e, a riprova di questo, sarà presentato a breve un registro e repository di Web service unificato, mentre già oggi gli eventi gestiti con le soluzioni FileNet e Ibm sono in grado di invocarsi reciprocamente.

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