Bisogna cambiare ma per necessità

Riorganizzazioni interne rafforzamento in area servizi e in alcuni casi revisione delle proprie strategie. Tutto per cercare almeno, di far quadrare i conti

Dicembre 2003, «Non possiamo permetterci di perdere nemmeno un cliente».
«Oggi non ci sono molte opportunità: l’offerta supera abbondantemente
la richiesta». «È difficile mantenere nel tempo un cliente.
L’utente finale guarda a ciò che l’It gli porterà nel lungo termine».
«La stretta creditizia è un problema serio e sarà fondamentale
nel discriminare la sopravvivenza di alcuni operatori nei prossimi mesi. Il credito
è la risorsa più scarsa nel settore e i corporate reseller sono
tra i primi a esserne influenzati»
.
Queste dichiarazioni danno idea dell’atmosfera che si respira in questo
comparto e che abbiamo "registrato" attraverso le testimonianze di
alcuni operatori.
Alla luce di simili dichiarazione si capisce come mai la riorganizzazione delle
loro strutture è stato un "must" degli scorsi mesi per far fronte
alla crisi e all’evoluzione del mercato.


«Abbiamo rivoltato l’azienda come un guanto – spiega Antonio
Caserta
, amministratore delegato di Asystel -. Abbiamo creato un
identikit di tutti i nostri collaboratori per cercare di sfruttare al meglio le
loro professionalità anche in base alle caratteristiche personali. Ad alcuni
abbiamo chiesto di cambiare mansione. Ci siamo rimboccati le maniche per riproporci
in maniera competitiva. Oggi posso dire che siamo pronti a recuperare ciò
che i nostri concorrenti hanno lasciato sul mercato. Non è facile investire
migliaia di euro nella ricerca e sviluppo, non è la nostra missione principale,
ma dobbiamo farlo. Per questo stiamo investendo nel wireless, Wi-fi, nella gestione
del parco installato e persino in ambito Erp, anche se non è il nostro
business tradizionale. Comunque non terziarizziamo più del 2/3% della nostra
attività, contrariamente ai nostri concorrenti che arrivano a terziarizzare
fino all’80%»
.
Asystel non è un corporate dealer qualunque. Azienda milanese di 260 persone
nell’anno fiscale, chiuso a giugno del 2003, ha fatturato 78 milioni di euro;
lavora con oltre 2.000 clienti attivi e 7/800 con cui ha un rapporto continuativo.
Il 23% del fatturato deriva dai servizi. «Che costituiscono un costo
che qualcuno deve assumersi, ma non riusciamo a farlo capire ai clienti finali»

precisa Caserta.
L’uomo alla guida dell’azienda è un imprenditore noto nel settore anche
per la sua vena un po’ polemica, specie nei confronti dei fornitori, ma che ha
comunque il pregio di dichiarare apertamente ciò che pensa e sottolineare
i problemi, reali, che operatori come lui si trovano di volta in volta ad affrontare.
«Il nostro problema oggi è la competizione con aziende come Hp,
Ibm, Unisys, Bull, Getronics, Eds e Microsoft stessa per quanto riguarda il software.
Società che apparentemente svolgono attività diverse, ma che troviamo
direttamente in concorrenza nel momento in cui loro hanno abbassato il tiro e
noi lo abbiamo alzato. Nell’arco di due o tre anni siamo passati da partner preferenziali
di alcuni produttori a concorrenti spietati»
.


Non è l’unico, comunque, a sottolineare che lo scenario competitivo è
cambiato. «È vero, i rapporti diventano spesso conflittuali
– dice Lorenza Ferrini, vice presidente di Datamax -. L’abbassamento
dei margini, la competitività fra i brand, soprattutto nell’ambito gare,
e la poca abitudine (per alcuni) a lavorare con i dealer può creare spesso
situazioni non chiare»
. Datamax ha da poco lanciato un servizio b2b
di e-procurement che consente ai dealer di ordinare prodotti e servizi on line.
Per restare competitivi il corporate dealer romano che nel 2002 ha fatturato 84
milioni di euro, ha anche investito nella qualificazione delle risorse per l’area
progettuale, arricchendo il team dedicato al comparto Pmi, guarda caso area in
cui i vendor lasciano tutto in mano al canale.


Come si capisce meglio da quanto ci racconta Daniele Dalla, direttore
commerciale di Centro Computer, della provincia di Ferrara, che prima di spiegare
il suo punto di vista tra vendor e canale, ricorda che anche la Consip è
uno dei competitor «che ha tagliato fuori dal business gli operatori
come noi in una delle poche aree dove sembra ci siano investimenti in corso. Quanto
alla concorrenza derivante dalla vendita diretta dei vendor che si avverte soprattutto
in area server, a mio avviso ciò è accaduto in reazione al fenomeno
Dell»
. E aggiunge: «Ibm stessa (di cui Centro Computer
è un Business Partner – ndr) tende a privilegiare i propri commerciali
interni nel concludere la trattativa con clienti cluster, come li chiama Big Blue,
che sono gli utenti di fascia più alta, su cui tipicamente un corporate
dealer dovrebbe lavorare, per evitare di lasciare al canale un margine, per quanto
modesto esso sia, che li porterebbe fuori mercato rispetto ad altri. La nostra
esperienza su questi clienti è, quindi, diventata di difficile convivenza,
soprattutto per quanto riguarda i servizi»
. Diversa, dice, è
la competizione nel mercato Pmi dove è richiesta una capillarità
del territorio che solo il canale riesce a soddisfare. Sarà questa situazione,
sarà anche la tipologia di utenti che lavorano nelle regioni su cui Centro
Computer opera (Emilia Romagna, Veneto, Liguria), fatto sta che il corporate dealer
ferrarese ha radicalmente modificato la sua strategia commerciale, già
tre anni fa, indirizzandosi a una clientela di medie dimensioni e decidendo di
chiudere i rapporti diretti con tutti i fornitori per quanto riguarda approvvigionamenti
e logistica. «Abbiamo deciso di indirizzarci a un distributore
– racconta Dalla – e abbiamo scelto Assotrade (ora inglobato in Esprinet).
Questo ci ha permesso di presidiare meglio il territorio attraverso la nostra
conoscenza dei distretti, focalizzandoci nel nostro ruolo di integratori e liberandoci
del costo di magazzino che abbiamo demandato al distributore. In affiancamento
a questa scelta abbiamo lavorato a livello più strategico, ridefinendo
l’integrazione dei processi dei sistemi informativi, per automatizzare le funzioni
e riuscire in questo modo ad abbassare i costi delle transazioni. Tutto ciò
ci ha permesso di adeguarci meglio al profilo della nostra clientela: noi serviamo
3.500 clienti l’anno, che significa 20mila bolle emesse in 12 mesi. Poiché
fatturiamo circa 50 milioni di euro (dato relativo al 2002), vuol dire che il
valore medio della transazione è piuttosto basso e i costi fissi pesano
in maniera consistente. Aver governato il cambiamento verso il distributore ci
ha permesso di tirar fuori un piccolo profitto dalle nostre attività»
.

I vantaggi del second tier
«Quando i margini erano del 20 per cento – prosegue – non ci
preoccupavamo dei costi fissi di transazione, ma ora le cose sono cambiate. La
nostra scelta di acquistare dal distributore ci ha avvantaggiati nel momento in
cui è cominciata una recessione anche nella fascia alta del mercato e i
grandi clienti hanno cambiato profilo d’acquisti. Servire in media 100 piccoli
clienti è diventato, infatti, molto simile a servire due grandi clienti,
perché il grande cliente non concentra più gli acquisti, ma compra
all’ultimo momento, quando ha bisogno. Con il second tier siamo riusciti ad avere
una variabilizzazione dei costi di vendita, tenendo sotto controllo i costi fissi»
.


Un’attenta riduzione dei costi strutturali è stata la prima mossa messa
a punto da Irpe di Milano che ha dovuto necessariamente rivedere anche l’offerta
di servizi, soluzioni e prodotti, attraverso una riorganizzazione delle risorse
interne ed esterne all’azienda. Ci spiega il presidente Umberto Ronzoni:
«Per quanto riguarda i servizi ci avvaliamo di personale interno, sia
per quelli di basso e medio livello, sia per quelli di livello più alto.
Ricorriamo a nostro personale certificato o a personale esterno quando offriamo
soluzioni complete più complesse»
.
Ovviamente, anche Irpe spinge l’acceleratore sui prodotti che richiedono servizi
facendo attenzione a specializzarsi in tematiche e soluzioni specifiche «tralasciando
la miriade di opportunità che il mercato propone»
. Del resto
le risorse costano e le competenze per rivolgersi con professionalità agli
utenti finali non sono ancora facili da trovare.

Quali commerciali reclutare?
«In realtà, per quanto ci riguarda – conclude Ronzoni –
i maggiori problemi li riscontriamo nel selezionare figure commerciali con
un’adeguata esperienza che sia in linea con le nostre idee, mentre il personale
tecnico è adesso più facilmente reperibile con costi accettabili»
.


«Oggi l’interlocutore finale richiede consulenza. Il nostro lavoro diventa
sempre più complesso. Non si può vendere un Erp telefonicamente
e le trattative sono lunghe. Non è facile trovare personale commerciale
in grado di offrire questo tipo di servizio richiesto dal mercato»

conferma Roberto Pedron, presidente di Tecnoinformatica della
provincia di Treviso. Questa realtà è una classica azienda del Nord
Est, nata negli anni 80 e indirizzatasi poi ai pc e al mondo office.
«Abbiamo una cultura contadina, siamo cresciuti in mezzo ai campi e
non abbiamo fatto nessuna scuola che ci insegnasse il mestiere di imprenditore

– sorride Pedron -. Però siamo sempre stati attenti a ciò che
ci chiedevano i clienti, adeguando la nostra offerta a quanto richiesto»
.
Così oggi Tecnoinformatica è un’azienda di 150 persone con un giro
d’affari di 13 milioni di euro circa che si occupa per il 50% del fatturato di
software e sviluppo con una business unit (che internamente chiamano fabbrica
poiché produce e sviluppa per clienti finali) e per l’altro 50% di hardware
e servizi. Anche Pedron torna a parlare della concorrenza con i vendor e sottolinea
come sono cambiati i punti di riferimento sul mercato. «L’anima da software
house della nostra azienda
– spiega – ci mette in concorrenza con i grandi
produttori»
. Un’evoluzione che mette in gioco l’organizzazione stessa
della società tanto che, sebbene Pedron non intenda sbilanciarsi troppo
sull’argomento, si fanno accenni a eventuali progetti di rafforzamento della struttura
(ovvero fusioni, accorpamenti o simili).
Molto critico riguardo ad accorpamenti è Caserta di Asystel. «Per
quale motivo dovrei fondermi con un’altra azienda? Solo se esiste un progetto
che permette di arricchirmi con risorse che a me mancano potrei prendere in considerazione
questa ipotesi, ma altrimenti che valore aggiunto ho? Oggi i volumi non pagano.
Due aziende deboli che si mettono insieme ne fanno una terza ancora più
debole»
.
Una storia di fusione la conosce bene Aldebra, che nel 2002 ha fatturato poco
più di 24 milioni di euro, nata dall’unione di System B. di Bolzano, Sia
di Milano, Intersoft di Vicenza, Verona Sud di Verona e A.t.s. di Trento, che
ha messo insieme le competenze professionali delle varie realtà.


«L’unione tra diverse strutture ci ha consentito di migliorare il fattore
tempestività nella fornitura di servizi, di garantire una copertura territoriale
più ampia. Oggi siamo organizzati su nove sedi nell’area Tre Venezie e
Lombardia»
spiega il responsabile marketing Fiorenzo Dalmeri.
«Abbiamo definito meglio le aree di specializzazione dei nostri commerciali,
creando una struttura di servizio interna più snella in ambito amministrativo
e nell’erogazione di servizi quali help desk e call center. Stiamo, inoltre, ragionando
sulla possibilità di lavorare con aziende straniere in un preciso settore
merceologico, quello finance, per l’informatizzazione integrale o parziale di
medie imprese, nonché verificando le possibilità d’introduzione
nei mercati dell’Est Europa e del Medio Oriente. Crediamo siano aree geografiche
da esplorare e con buone opportunità. Così come siamo disponibili
a cooperare con altre società per definiti progetti di sviluppo di sistemi
informativi»
.
Aldebra, peraltro, è l’unica realtà che sta guardano ai mercati
stranieri. Una spiegazione ce la fornisce Maurizio Cuzari di Sirmi in una battuta:
«Molti dei nostri corporate dealer fanno fatica a sapere come si arriva
nelle regioni limitrofe alla propria»
.
Ma questo non fa per niente ridere.

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