Basta guerre di religione attorno all’opensource

Idc non ha dubbi che in futuro il software libero troverà un suo spazio nelle aziende di ogni dimensione

Ezio Viola, group vice president e general manager Idc Southern Europe non ha dubbi: «Linux è ormai una realtà affermata, che continua a crescere e che ha una sua maturità tecnologica. Noi siamo convinti che, nel mercato business, sia il software proprietario che quello opensource convivranno».


Ma quali sono oggi i vincoli in Italia per una maggior adozione dell’opensource? «Il primo – ha risposto Viola – è la maturità dei prodotti disponibili. Un secondo problema è quello di far capire alle aziende utilizzatrici che stanno comprando un qualche cosa che poi ha la necessità di essere manutenuto e fatto evolvere nel tempo, ma che non deve avere i problemi della proprietà. Infatti, in Italia la maggior parte delle aziende non ha ancora capito tutti i meccanismi che stanno dietro alle licenze, per cui su questo fronte ci possono essere anche dei rischi. L’altra faccia del problema è data dagli sviluppatori, in quanto la cosiddetta comunità dell’opensource, che noi vediamo come meccanismo di innovazione, sopratutto dal punto di vista dell’industria e specialmente a livello internazionale, in Italia fa ancora fatica a decollare. È, infatti, composta da realtà molto piccole, che hanno il problema di capire come poter fare soldi con l’opensource. E l’unico modo per guadagnare, visto che non fanno pagare il software, è quello di offrire servizi di una certa consistenza. Ma oggi in Italia, per il tipo di domanda che sviluppa il mercato, non ci sono le condizioni di sostenibilità economica per quelle società che vorrebbero sviluppare solo con l’opensource». «In questo contesto – è intervenuto a sua volta Guido Pagnini, research director It di Idc Italia – i fornitori hanno un po’ di colpa e anche chi spinge per l’opensource, come Sun o Ibm, in realtà continua a proporre le proprie soluzioni. Anche molti system integrator italiani hanno delle competenze in ambiente Linux, ma qual è il valore che ne ricava l’azienda? Secondo noi è ancora piuttosto basso. Poi, va detto che l’ambiente opensource non è ugale dappertutto: Linux nelle grandi aziende è un discorso, nelle medio-piccole è un altro. Con questo intendo dire che la maturità tecnologica di Linux si scontra ancora con una certa mancanza di soluzioni applicative che per le medio-grandi imprese devono avere lo stesso livello di complessità e di completezza che hanno i software commerciali. Allo stato attuale, non esiste in ambito opensource un software in grado di competere con Sun o con le applicazioni di Oracle, mentre è più facile trovare questo tipo di offerta nel software minore, più adatto per le piccole imprese. Alla stato attuale, dunque, c’è Linux, che è trasversale e che va bene anche per la grande impresa, perché è fatto da operatori internazionali e supportato, mentre invece è più difficile trovare un software che sia adatto alla gestione operativa di un’azienda, e che sia verticalizzato. Inoltre, nella medio grande azienda Linux non è certo al livello di Unix o di Microsoft, mentre nella piccola il problema è diverso perché l’opensource è poco conosciuto, non c’è una strategia commerciale dietro e non ci sono community che spingono e spendono».


Secondo Viola, volendo sintetizzare, Linux come piattaforma è presente, si evolverà e guadagnerà nuove quote di mercato. Il software opensource, invece, ha bisogno di fare più chiarezza verso il mercato, in quanto ancor oggi il cliente finale fa confusione tra opensource, free software o software standard. «Inoltre – ha concluso Viola – va chiarito che se una società sviluppa in modalità opensource, non è detto poi che il prodotto finito sia opensource, perché lo deve decidere lo sviluppatore. Per esempio, si possono utilizzare pezzi di software opensource e realizzare prodotti custom. In questo caso, però, non è chiaro quali sono le implicazioni legali e normative per lo sviluppo del software di un approccio di questo tipo. Tuttavia questo modello di “open-innovation” è un trend molto importante che va seguito e che può avere dinamiche positive. Solo che in Italia, lo ripeto, bisogna fare un po’ più di chiarezza e creare le condizioni affinché si sviluppi e sia sostenibile. Ed è consigliabile che finalmente finiscano le guerre di religione, perché danneggiano tutti».

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