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È necessario costruire una cultura della sicurezza, una consapevolezza dei rischi e del loro controllo. È quello che afferma Mark Schwartz, Enterprise Strategist in Amazon Web Services, con un intervento sul sito della società, dedicato alla sicurezza.

Ma non si limita a questo: Schwartz, che fino allo scorso anno era Chief information officer del Servizio di cittadinanza e immigrazione negli Stati Uniti nel Dipartimento della Sicurezza Nazionale americano, ci racconta come costruire una cultura della sicurezza. Un insieme di norme e pratiche in linea con l’obiettivo di mantenere l’azienda sicura.

La premessa è: lasciare che sia un team di specialisti a monitorare la sicurezza in un’azienda non è più sufficiente. Non basta controllare i confini del network aziendale tramite firewall. Oppure, semplicemente implementare set di controllo specifici in un framework di conformità.

La gestione della sicurezza è diventata una questione strategica per l’azienda. E la strada per andare avanti è quella di costruire una cultura della sicurezza. È importante quindi creare una vera e propria cultura. Al posto di rispondere in modo reattivo a minacce specifiche man mano che le si incontra.

La ricetta di Mark Schwartz del team AWS

Mark Schwartz, oltre a ricoprire il ruolo di Enterprise Strategist in Amazon Web Services, è CIO e autore di libri. Il suo, dunque, è un punto di vista esperto e di alto livello. Lo sviluppa in un post sul blog di AWS, di cui riprendiamo qui i principali spunti.

La sicurezza, afferma Schwartz, è diventata un problema di tutti, e la sua gestione è diventata una questione strategica per l’azienda. I sistemi IT sono posti costantemente sotto attacco da strumenti malevoli che cercano un modo facile di entrare. Per non parlare delle minacce persistenti di talentuosi hacker di professione. Hacker disposti a investire tempo e denaro per fare breccia negli obiettivi che hanno selezionato. Eppure, le minacce non arrivano solo da qui.

I sistemi IT possono anche essere ostacolati da dati sbagliati, picchi di utilizzo improvvisi, casi limite non testati che spesso coinvolgono operazioni concorrenti, failure a cascata e problemi di velocità che si moltiplicano. Inoltre, per garantire performance sicure i sistemi devono essere scalabili, resilienti, disponibili, testati, performanti e devono poter tollerare input inaspettati.

La sicurezza è un tipo di qualità. Ed è meno dispendioso implementarla fin da subito piuttosto che pagare le conseguenze di doverla aggiungere dopo.

cultura della sicurezzaCosì come la qualità non è sinonimo di velocità, non lo è neanche la sicurezza. Allo stesso modo, la maggior parte degli exploit potrebbe essere fermata da semplici norme di sicurezza. Esiste infatti una serie molto piccola di punti deboli che portano alla stragrande maggioranza delle intrusioni.

Molti software ne incorporano altri di terze parti, soprattutto open source, ma usano versioni vecchie di cui si conoscono le vulnerabilità. In questo caso non ci sono scuse. Sono infatti disponibili tool per identificare tali problematiche ed esistono suite di regressione automatica per gli aggiornamenti.

Come approcciare la sicurezza

Se si chiede a qualsiasi CISO qual è la sua più grande paura, prosegue Schwartz, probabilmente le risposte saranno due. Esse sono: credenziali compromesse e impossibilità di fare gli aggiornamenti abbastanza spesso. Se a queste si aggiungono le principali vulnerabilità delle applicazioni, si ottiene la maggior parte delle intrusioni. Tuttavia, oggi esistono buone abitudini che forniscono modi non dispendiosi di evitare tali problemi senza rallentare l’intero processo o appesantire gli utenti. Pertanto: la sicurezza non è solo “roba da nerd”.

Il miglior modello di approccio alla sicurezza orientato alla cultura, che Mark Schwartz ha identificato, è quello del movimento Rugged (Solido) Software, o Rugged DevOps. Questo consiglia di costruire un software sicuro e resiliente semplicemente perché è la cosa giusta da fare.

I loro principi si riferiscono allo sviluppo di codici e software, ma si possono applicare all’intera azienda. Un’organizzazione che guardi alle minacce alla sicurezza e alla resilienza come a un costo extra, a un peso, a qualcosa di superfluo, di cui solo gli specialisti si devono preoccupare, o che non ci pensi affatto non potrà mai essere solida. Una simile azienda compie un’ingiustizia nei confronti dei suoi clienti (i cui dati sono a rischio), di sé stessa (che dovrà affrontare costi in più e danni alla propria reputazione) e degli investitori (i cui investimenti perderanno valore). E se si parla di agenzie governative, i danni potrebbero coinvolgere la nazione e i suoi cittadini.

In cosa consiste la cultura della sicurezza

Schwartz elenca i principi di un’organizzazione solida, secondo The Rugged Handbook.

Obiettivo. L’azienda comprende di essere costantemente sotto attacco (siano essi attacchi voluti o accidentali) e lo prende in considerazione in ogni cosa che fa.

Educazione alla sicurezza. L’azienda dà valore alla sicurezza (dal punto di vista tecnico o non, a seconda dei ruoli) e si tiene aggiornata sull’evoluzione delle minacce, ascolta i consigli degli specialisti e cerca di comprendere le regole e le policy di sicurezza.

Norme comportamentali. Mettere in pratica e promuovere buone norme comportamentali fa parte del voler fare le cose nel modo giusto. Non si condividono le password, gli account degli utenti, né si lasciano informazioni sensibili sulla scrivania quando si torna a casa la sera.

Miglioramento continuo. Nel caso accada che vengano lasciate informazioni sensibili sulla scrivania la sera, è bene ascoltare chi lo fa notare per non farlo più.

Approccio zero-difetti. Quando si parla di sicurezza, non si accettano vulnerabilità: se si scopre un problema, lo si risolve immediatamente senza sottovalutarne nessuno.

Strumenti riutilizzabili. Tenere un approccio strategico alla sicurezza significa organizzare i sistemi IT e impostare strumenti e processi condivisibili e ripetibili.

Team Unificati. Tutte le divisioni dell’azienda collaborano per rendere la sicurezza forte e i sistemi resilienti.

Test. I sistemi vengono testati rigorosamente (principalmente con test automatici) non solo mentre vengono sviluppati, ma anche quando sono in produzione. È necessario testare scenari di failure e la capacità di farvi fronte.

Modellare le minacce. È necessario pensare come un hacker, prevedere possibili strade che potrebbero intraprendere per sconfiggere i controlli e condurre test per essere sicuri che poi non ci riescano.

Revisioni paritarie. Ogni specialista dovrebbe pensare non solo a possibili difetti nel suo lavoro, ma anche a possibili vulnerabilità alla sicurezza. Il codice dovrebbe essere sempre rivisto da un collega, il quale dovrebbe anche lui cercare possibili vulnerabilità.

A questo link è disponibile il libro The Rugged Handbook, in PDF.

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