Assist Consulting – Il Chief Innovation Officer? Una figura direzionale

Il chief innovation officer? Magari se ne trovasse uno. Le Pmi ma anche le aziende di più grandi dimensioni hanno un bisogno enorme di fare leva sull’innovazione, a 360 gradi. Ma il chief innovation officer è ancora una figura rara da trovare. Per come …

Il
chief innovation officer? Magari se ne trovasse uno. Le Pmi ma anche le aziende
di più grandi dimensioni hanno un bisogno enorme di fare leva sull’innovazione,
a 360 gradi. Ma il chief innovation officer è ancora una figura rara
da trovare.
Per come ce lo immaginiamo, si tratta di una figura complessa, con molte sfaccettature,
in grado di governare e orientare lo sviluppo innovativo dell’azienda
da tutti i punti di vista: l’innovazione di prodotto attraverso i nuovi
materiali, le nanotecnologie e le altre tecnologie di produzione; l’innovazione
di processo e di business mediante le tecnologie dell’informazione e della
comunicazione.

Il Chief Innovation Officer dovrebbe, secondo noi avere 4 aree di competenza:

  • capire il business, innanzitutto, per guidare lo sviluppo tecnologico in
    modo coerente con il business dell’azienda
  • conoscere le tecnologie ICT ma anche le nuove tecnologie di interesse per
    il business dell’azienda di cui fa parte
  • avere capacità organizzative, per organizzare progetti e processi
    di innovazione in modo strutturato e continuativo
  • saper valorizzare le risorse umane, perché non va dimenticato che
    l’innovazione la fanno le persone usando le tecnologie.

Un insieme di competenze che nella realtà sembrano difficili da tenere
insieme in una sola figura. Lo testimonia una recente indagine condotta da Assist
Consulting su un campione qualificato di imprese della Lombardia con almeno
50 addetti. A cavallo tra 2006 e 2007 la ricerca ha coinvolto 3.000 imprese
circa con un grado di strutturazione – data la dimensione – superiore
alla media delle Pmi della regione (oltre il 95% delle imprese ha meno di 10
addetti).

L’indagine proponeva alle imprese intervistate una serie di quesiti concernenti
le attività svolte in materia di innovazione incluso il deposito di brevetti,
l’esistenza in azienda di strutture dedicate alla gestione dell’innovazione,
le spese aziendali in innovazione (in percentuale del fatturato) fino alle modalità
di finanziamento dell’innovazione. Ebbene, solo il 38,6% ha fornito le
informazioni richieste. Ma fin qui niente di strano: l’innovazione è
una attività ad alto rischio e spesso gestita in modo non strutturato
soprattutto nelle Pmi. Ma il dato più interessante che emerge dalla ricerca
è forse proprio quello relativo alle figure che presidiamo l’innovazione.

È difficile trovare all’interno dell’azienda un interlocutore
unico che si occupi di innovazione, ma soprattutto un interlocutore che sia
in grado al tempo stesso di valutare le esigenze di innovazione in rapporto
alle esigenze di business. Il caso più tipico è quello del tecnico
di laboratorio o del responsabile dell’ufficio tecnico nelle imprese minori,
ovvero del responsabile della ricerca e sviluppo nelle imprese maggiori e più
strutturate.

Queste figure sono in grado di rispondere ai quesiti riguardanti gli aspetti
tecnici dei progetti di innovazione e ricerca che conducono in azienda ma raramente
sono in grado di fornire informazioni sui processi di business. Fra i compilatori
del questionario che hanno responsabilità di innovazione in azienda,
molti non sono stati in grado di indicare il fatturato dell’azienda o
la quota di spese in R&S in rapporto al fatturato. Ciò è vero
anche nel caso specifico dell’informatica, solitamente gestita da una
figura specialistica, riguardo alla quale emerge una significativa mancanza
di dialogo con chi si occupa di innovazione di prodotto o del processo produttivo.

Ma se sul fronte delle figure tecniche emerge una scarsa sensibilità
ai problemi di business, dall’altro lato l’imprenditore ed i suoi
collaboratori più diretti, dimostrano di avere poca dimestichezza con
le problematiche tecniche e con le nuove tecnologie, ed hanno difficoltà
a dialogare con chi si occupa di ricerca.

Insomma, la ricerca che abbiamo condotto non ha fatto che confermare quanto
registriamo comunemente nelle aziende piccole e medie: il processo di innovazione
è poco strutturato, spesso addirittura per niente strutturato, e demandato
completamente all’imprenditore o a figure tecniche che hanno una scarsa
visione del business dell’impresa.

L’assenza di ruoli formali come il Chief Innovation Officer è
solo una conferma di tutto ciò. Ma in questa situazione avrebbe senso
creare una posizione specifica, introdurre in azienda un Chief Innovaton Officer
quando i procesi di innovazione e gli investimenti correlati sembrano essere
poco strutturati o addirittura poco presenti? Noi pensiamo di si. Ciò
è già avvenuto in passato con altre figure come il Chief Technology
Officer, con il Responsabile del CRM o con il Chief Financial Officer.

Si tratta in tutti i casi di figure che si sono imposte nel momento in cui
il processo di riferimento al quale sono dedicate è diventato più
strategico per le aziende. Il processo di innovazione, come molti ben più
autorevoli osservatori affermano, è ormai diventato un processo strategico
per la competizione delle nostre imprese.

L’introduzione di una figura direzionale, direttamente responsabile di
facilitare e sollecitare l’innovazione a 360°, potrebbe avere almeno
quattro funzioni chiave:

  • spingere la Pmi ad organizzare i propri processi di innovazione, ad attrarre
    risorse umane qualificate e capaci di supportare tali processi, a valorizzare
    le risorse umane interne che possono contribuire all’innovazione nei
    diversi settori;
  • aiutare le Pmi a sviluppare una rete di relazioni scientifiche e tecniche
    con i soggetti che nel mondo generano innovazione (dai centri di ricerca alle
    università, dalle società di consulenza ai fornitori di tecnologie,
    etc.) al fine di identificare e selezionare le tecnologie necessarie per fare
    passi in avanti nello sviluppo dei prodotti, dei servizi e dei processi di
    business dell’impresa
  • supportare il vertice dell’impresa nella valutazione degli investimenti
    in R&D o in progetti di innovazione, siano essi sviluppati attraverso
    strutture interne o realizzati attraverso l’acquisizione di tecnologie.
    Il Cio dovrebbe effettuare la ricerca di finanziamenti per l’innovazione
    e al tempo stesso fornire al management gli strumenti per valutare il modo
    di impiegarli e ritorno degli investimenti stessi;
  • promuovere la collaborazione fra le funzioni strategiche per l’innovazione
    – il marketing, la R&D dove presente, la progettazione, l’IT,
    etc. – al fine di coordinare gli sforzi per l’innovazione e orientare
    verso obiettivi comuni tutte le energie che l’impresa esprime nella
    direzione dell’innovazione.

Se l’innovazione, come affermano economisti, ministri, dirigenti delle
associazioni industriali e come noi crediamo, è davvero una condizione
strategica per lo sviluppo delle imprese e per la loro capacità di competere,
allora è inevitabile che presto o tardi una figura come il Chef Innovation
Officer troverà spazio nell’organigramma aziendale. Non siamo disposti
forse a scommettere sul nome. Ma certamente il manager dell’innovazione
è sulla porta di numerose aziende che vogliono crescere in questa direzione.

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