Angelucci: il primo digital divide è sottovalutare l’It

Carenze e best practice nell’utilizzo dell’It in Italia analizzate nel nuovo osservatorio Assinform su industria, Pa, banche, Università e ricerca

Le potenzialità dell’information technology in Italia sono tuttora molto sottostimate. Sono più di dieci anni che gli operatori e le aziende del settore recitano questo mantra ma lo sforzo non sembra essere stato premiato. Al punto che secondo il presidente di Assinform Paolo Angelucci “la sottovalutazione del ruolo decisivo che l’It gioca nel processi di crescita della competitività, produttività e sviluppo del Paese è il primo digital divide da superare”.
Nel mondo gli investimenti in It stanno riprendendo con decisione: in Stati Uniti, Giappone e nei Paesei emergenti, sostiene Angelucci, vi sono punte di crescita del 24%. L’Italia viene dal – 8,1% del 2009 ed è ben lontana da tali performance. Fondamentalmente, c’è ancora bisogno di tanta cultura e anche per questo motivo Assinform ha dato vita a “It per lo sviluppo”, un concentrato di analisi dello stato di fatto e proposte per migliorarlo. Si tratta di un osservatorio permanente che ha già prodotto un quadro dei pregi e difetti del ruolo dell’It in quattro macro aree del nostro Paese: settore pubblico, distretti industriali e made in Italy, settore bancario, Università e ricerca.
Partiamo dai difetti. Sebbene i quattro settori presentino livelli di adozione molto diversi, osserva Assinform, esistono alcuni fattori comuni che generano il deficit dell’innovazione in Italia. In questo registro rispondono all’appello: disomogeneità delle infrastrutture digitali, alfabetizzazione informatica scarsa, mancanza di consapevolezza (appunto) sulla capacità dell’It di migliorare le performance, scarsa attenzione alla formazione continua, mancanza di sinergie tra mondo della ricerca e imprese, basso utilizzo delle forme di collaborazione offerte dal Web 2.0.
Veniamo ora ai pregi, cioè a quelle best practice che lo studio di Assinform ha individuato negli oltre 200 casi di successo censiti e che dovrebbero fungere da modelli replicabili. Nell’industria, un settore che nel 2008 ha speso 7.377 milioni di euro in It, gli investimenti più azzeccati sono stati quelli fatti per la filiera, per la messa a fattor comune di competenze, infrastrutture e per l’integrazione dei processi, anche con l’obiettivo di creare offerte congiunte di prodotti/servizi. Nel settore pubblico (3.780 milioni la spesa nel 2008), le esperienze più significative degli ultimi anni Assinform le ha trovate nella dematerializzazione dei documenti e nella gestione integrata delle comunicazioni interne. L’Osservatorio ha poi censito applicazioni innovative nell’ambito di Giustizia, Scuola, Beni Culturali, Sanità, Previdenza.
Nel comparto bancario, storicamente il “big spender” dell’It italiana (7.736 milioni di euro nel 2008 su un totale di 20.243) e uno dei pochi a forte penetrazione tecnologica, le best practice riguardano la banca paperless, nuovi modelli di comunicazione, la gestione di processi i e informazioni con applicazioni di tipo Enterprise 2.0 Quanto al settore Università e ricerca, qualche best practice c’è (per esempio i consorzi e le associazioni tra Istituti, come il Cineca) ma Assinform sfodera qui una sorta di bandiera bianca: oltre al ristagno dello sviluppo e dell’innovazione (non a caso, nell’acquisto di tecnologia vince sempre l’offerta più bassa) c’è un nodo fondamentale: non si riesce a intravedere il modello giusto per far sì che formazione e ricerca possano aiutare la competitività del nostro Paese.

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