Alesina: per sbarcare negli Usa bisogna viaggiare a 130

Libero mercato, alleanze commerciali e innovazione: ecco la ricetta per promuovere gli scambi tra Italia e Stati Uniti nel primo incontro sul tema organizzato a Milano da Regione Lombardia, Confindustria e Ice

Il recente accordo tra Fiat e Chrysler è un apripista per le aziende lombarde. Se il Piemonte si è già lanciato nel mercato statunitense con il colosso italiano dell’auto, Milano potrebbe seguire l’esempio. Alberto Alesina, economista all’Università di Harvard, ha illustrato così le marce da ingranare negli scambi commerciali tra Italia e Stati Uniti. Anche la Lombardia vuole giocare la sua partita oltre oceano, puntando a qualcosa di più dell’export. Il periodo è propizio per investimenti e alleanze; per Adriana Sartor Cremaschi, vice presidente di Confindustria Lombardia con delega all’internazionalizzazione, significa sviluppare joint venture, reti di distribuzione e assistenza, tecnologie innovative.

Bando al protezionismo
L’attuale giravolta dell’economia mondiale si riassume nel paragone automobilistico di Alesina, intervenuto nel primo incontro a Milano sulla sfida lombarda per competere negli Usa. I mercati finanziari sono come le autostrade, dove ci sono limiti di 130 km orari e non dieci, a costo delle migliaia di morti ogni anno per gli incidenti. Si è scelto di viaggiare più veloci, accettando un certo margine di rischio, perché diversamente la crescita economica (così come la mobilità individuale) sarebbe troppo frenata. La risposta alla retromarcia delle borse, come ha chiarito il console americano per gli Affari economici Benjamin Wohlauer, non può essere un ritorno al protezionismo. Allora stop alle recriminazioni e semaforo verde per il libero mercato, ben sapendo che la crisi è fisiologica.

L’importanza della rete di vendita
L’intesa tra Fiat e Chrysler ci riporta nel settore della meccanica, che conta quasi il 20% delle esportazioni italiane negli Stati Uniti (settore cresciuto del 5% nel 2008 rispetto al 2007). Uno degli obiettivi del Lingotto è la possibilità di sfruttare i concessionari Chrysler per sbarcare in America con il marchio Alfa Romeo e la nuova 500. Una rete di vendita capillare è un requisito indispensabile per fare breccia nel mercato statunitense, dove la tempestività dell’assistenza tecnica è spesso preferita alla qualità pura e semplice di un prodotto. Lo stesso vale per i macchinari industriali: alcune aziende – come riportato in una guida al business negli Usa curata dall’Ice – preferiscono i modelli dell’Haas Automation (americana) a quelli dei concorrenti stranieri, per la maggior disponibilità di tecnici e ricambi.

Export italiano in chiaroscuro
Gli altri settori più promettenti per le imprese italiane (dati Ice) sono la moda e la chimica, che valgono entrambi il 15% dell’export complessivo, poi l’agroalimentare e l’arredamento. Moda e arredamento, però, sono calati nel 2008 rispetto al 2007 (rispettivamente -11% e -14%). Alesina, poi, ha gettato qualche dubbio sull’utilità delle grandi opere pubbliche per risollevare l’economia, negli Stati Uniti come in Italia. Che cosa interessa a un imprenditore americano che desideri investire nel nostro paese, si è domandato l’economista? Non il ponte di Messina o la velocità dei treni tra Roma e Milano; piuttosto la semplificazione della burocrazia e la velocità del sistema giudiziario, tradizionali note dolenti nella legislazione italiana.

I limiti del libero mercato
Lo stato, insomma, deve guardarsi dal tornare al centro dell’economia. Tra Cina e Stati Uniti, inoltre, – ha ricordato Alesina – si sta verificando quello che era già accaduto negli anni ’50 e ’80 tra Usa e Germania Ovest e Usa e Giappone. Cioè una separazione netta tra risparmio e accumulo di valuta americana (a Pechino) e spesa (dai forzieri di Washington). Insomma niente di nuovo sul fronte finanziario occidentale, salvo che la crisi del ’29 era precipitata a causa di errori politici, come appunto il protezionismo e il ritiro di liquidità, che ora non si stanno ripetendo. Così le imprese italiane possono approfittare della debolezza americana in alcuni settori: rispettando il limite dei 130 ma senza rallentare troppo.

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