AI in Italia: fiducia alta, affidabilità bassa. Cosa significa davvero

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L’Italia sta attraversando una fase decisiva nell’adozione dell’AI, ma la velocità della diffusione non coincide ancora con un livello adeguato di affidabilità. È ciò che emerge dal report IDC Data & AI Impact Report: The Trust Imperative, commissionato da SAS, che evidenzia una distanza significativa fra il grado di fiducia che le aziende italiane ripongono nell’AI e la reale maturità dei sistemi che stanno implementando.

Una parte consistente delle organizzazioni si colloca nella cosiddetta zona a rischio, dove l’alta fiducia si scontra con una bassa affidabilità dei sistemi. In questo scenario diventa concreto il pericolo di adottare soluzioni non sufficientemente governate o supportate da processi di controllo maturi. All’estremo opposto, un numero non trascurabile di imprese mostra sia bassa fiducia sia bassa affidabilità, segnale di un potenziale non ancora espresso e che potrebbe emergere solo attraverso un rafforzamento delle basi di governance, qualità del dato e supervisione.

Secondo il report, soltanto il 6% delle aziende italiane raggiunge un equilibrio tra fiducia e affidabilità, una percentuale inferiore sia alla media globale sia a quella europea. Il risultato è un ecosistema che avanza nell’adozione dell’AI, ma non dispone ancora degli strumenti necessari per renderla affidabile, scalabile e sostenibile.

L’indice di impatto dell’AI cresce, ma la governance non segue lo stesso passo

L’Italia registra un indice di impatto dell’AI pari a 3,01 su 5, in linea con altri Paesi europei, mentre l’indice di affidabilità si ferma a 2,73. Questo divario evidenzia che l’AI sta generando valore, specialmente in termini di produttività, innovazione e customer experience, ma lo sta facendo su fondamenta ancora parziali. La maturità dell’AI è distribuita in modo eterogeneo: il 41% delle organizzazioni opera con iniziative orientate all’intera struttura aziendale ma con obiettivi a breve termine, mentre il 40% ha portato l’AI in modo continuativo dentro operation e servizi.

È un dato incoraggiante, perché indica che l’Italia non è più ferma ai progetti pilota. Tuttavia, la trasformazione resta esposta a rischi crescenti se l’adozione non viene accompagnata da processi di data governance robusti, modelli di controllo trasparenti e strumenti adeguati per monitorare qualità e affidabilità dei sistemi.

L’infrastruttura dati è più solida del previsto, ma non basta

Le imprese italiane mostrano un livello di maturità dei dati superiore alle attese: il 27% dispone di un’infrastruttura gestita e il 52% di un modello standardizzato, con processi chiari e governance in evoluzione. La quota di aziende con architetture immature o frammentate è inferiore alla media globale, un indicatore positivo che segnala investimenti continuativi negli ultimi anni.

Questa solidità, però, non compensa due criticità che continuano a frenare la crescita dell’AI nel Paese. La prima è la qualità dei dati: le organizzazioni italiane dichiarano difficoltà nella preparazione delle informazioni, nella piena affidabilità delle fonti e nei costi associati all’elaborazione. La seconda criticità riguarda l’accesso ai dati, ancora complesso e oneroso per una parte significativa delle aziende. Senza basi informative solide, qualsiasi iniziativa AI rischia di non scalare o di produrre risultati non affidabili.

La competenza è il vero anello mancante dell’AI in Italia

Secondo il report, la carenza di talenti è l’ostacolo più significativo alla maturità dell’AI. La mancanza di personale qualificato viene segnalata con un’incidenza nettamente superiore rispetto alla media globale. A questo si aggiungono una data governance non sempre strutturata, un numero insufficiente di figure con competenze tecniche specifiche e un supporto limitato da parte del management.

Il risultato è un rallentamento tangibile nell’evoluzione dell’AI, soprattutto nelle tecnologie emergenti come l’AI generativa e l’agentic AI, che richiedono skill avanzati e una supervisione costante.

Un mercato che cresce, ma che deve consolidare le fondamenta

Il quadro complessivo mostra un ecosistema dinamico, in rapida crescita e ormai oltre la fase sperimentale. Le imprese italiane stanno integrando l’AI nei processi in modo più esteso rispetto alla media globale, ma senza un rafforzamento deciso su governance, qualità dei dati e competenze rischiano di amplificare il divario tra fiducia e affidabilità.

L’Italia ha una base solida da cui partire e una domanda in crescita. Ora serve consolidare le fondamenta per trasformare la spinta all’adozione in valore sostenibile, risolvendo il dilemma della fiducia che oggi limita il pieno potenziale dell’intelligenza artificiale nel Paese.

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