AAA, cercansi acquirenti

Bilancio, vendite e profitti. Sono questi i parametri tenuti in stretta considerazione da chi è intenzionato a “inglobare”. Il parere di Regent società di intermediazione

Ancora una volta, gli aspetti preponderanti ai quali si
guarda prima di acquisire una società sono dimensioni e fatturato. Fin qui
niente di nuovo sotto il sole, se non fosse che, a ben guardare, gli italiani
più che acquistare vendono e, molto spesso, lo fanno per raggiunti limiti di età
del fondatore i cui figli, se ne ha, non sono interessati a portare avanti le
attività del padre. È questo il parere di una realtà internazionale come Regent
Associates che da sei anni opera anche nel nostro Paese occupandosi di fusioni e
acquisizioni tra società che appartengono esclusivamente all’ambito It,
intendendo con questo termine software, hardware e mercato delle
telecomunicazioni. Ma cosa succede quando una società che opera nell’Information
technology decide di mettersi in vendita, chi interviene nelle trattative, quali
sono i tempi e i costi di un’acquisizione, e quali i parametri necessari per
valutare una società? Lo abbiamo chiesto a Massimo Brighi,
amministratore delegato della filiale italiana in franchising di Regent
Associates
.

Il primo dato che salta all’occhio è che in Italia –
contrariamente a quanto avviene nei Paesi anglosassoni – mancherebbe, quasi del
tutto, la cultura delle società di servizio. A quanto pare l’uomo d’affari
italiano che possiede una società e che desidera metterla in vendita o comprarne
un’altra, solitamente, nutre una certa resistenza ad affidarsi a terze parti che
non siano il proprio istituto finanziario, l’avvocato di famiglia o il proprio
commercialista. E solo in ultima battuta si rivolge a società quali Regent
Associates.

Una volta vinta la diffidenza, cosa offrite ai
clienti che richiedono il vostro
intervento?

Indubbiamente qualcosa di più di un semplice servizio di
consulenza. La nostra società mette a disposizione dei propri clienti un network
di filiali sparse in tutto il mondo e un database d’informazioni aggiornato e
completo. Una volta ottenuto il mandato da parte di una società – poniamo il
caso a vendere – inviamo presso di essa un nostro specialista. Quest’ultimo avrà
il compito di redigere un memorandum, solitamente lungo una trentina di pagine,
in cui descriverà la realtà aziendale e con essa i prodotti, le strategie di
marketing, i punti di forza e di debolezza della società in vendita.
Di fondamentale importanza, a questo punto, è la
realizzazione di un prospect in cui si evidenzino gli obiettivi di mercato che
la società intende perseguire e che servono a chi è interessato all’acquisto per
capire in quale direzione si sta muovendo la società. Una volta redatto anche il
business plan, si procede alla creazione di un executive summary composto da due
pagine in cui la società in vendita è mantenuta nell’anonimato. Quest’ultimo
viene successivamente inviato a una ventina di potenziali acquirenti che,
qualora interessati, sottoscrivono un documento che permette loro di visionare,
ma non di divulgare a terze parti, l’intero memorandum dell’azienda. Se tutto va
bene, il passo successivo è l’incontro tra le
parti.

Come si valuta
un’azienda?

Insieme al bilancio, le voci più importanti per giudicare
il valore di una società ‘on sale’ sono le vendite e, per quelle in attivo, i
profitti.

Quali sono i motivi principali per cui farsi comprare
o acquistare nel nostro Paese?
In Italia il motivo principale è che il fondatore, o i
fondatori, dell’azienda hanno raggiunto un’età superiore ai sessant’anni, non
hanno figli interessati a portare avanti l’attività e intendono realizzare la
vendita prima che sia troppo tardi.

Quali sono i principali ostacoli alla realizzazione
di un’acquisizione?

Di solito, nel corso di un merger, le difficoltà maggiori
che s’incontrano sono quelle in cui s’incappa quando si è in presenza di una
società composta da più soci, ognuno dei quali esprime il proprio parere non
solo relativamente all’operazione finanziaria, ma sul suo valore e sulla
possibilità di continuare a rimanere in azienda una volta portata a termine la
transazione. Un problema, quest’ultimo, da non sottovalutare, specie se si
considera che qualsiasi società che ne acquista un’altra desidera che il
management in carica vi rimanga per un periodo, solitamente non inferiore ai tre
anni. Una prassi comune anche nei pagamenti che, solitamente, avvengono un terzo
subito e gli altri due terzi nel corso dei 24 mesi successivi e a seconda dei
risultati finanziari ottenuti.

… e se a essere in vendita sono realtà quali
software house oppure distributori?

Per molteplici aspetti il nostro Paese è un mercato
difficilissimo, soprattutto se le realtà considerate sono società che producono
software, o aziende che si occupano della distribuzione. La prima difficoltà,
che le accomuna a qualsiasi altra azienda, consiste nell’aprire i propri bilanci
a estranei. In Italia esistono una miriade di software house di ridottissime
dimensioni praticamente impossibili da vendere, soprattutto se fatturano meno di
un milione di euro all’anno. Come se non bastasse l’Italia, a differenza di
altri Paesi come la Francia, per esempio, annovera un ridottissimo numero di
società private di grandi dimensioni che producono software. Se escludiamo
aziende del calibro di Finsiel di Telecom Italia – e quindi del Governo – e le
società statunitensi che vendono software in Italia, le realtà che cerchiamo si
restringono a nomi come Gruppo Engineering e Gruppo Datamat che, nel corso del
2000, hanno rispettivamente fatturato 350,2 e 280 miliardi di lire. È se non è
sempre vero che ‘grande’ è sinonimo di “bello”, è pur vero che le società di
grosse dimensioni destano indubbiamente maggiore attenzione sul mercato.

Ma è solo un problema di
dimensioni?

A dire il vero è un problema fondamentalmente di cultura.
Le società di piccole dimensioni sono difficili da vendere soprattutto perché,
il più delle volte, il proprietario ha un’idea errata del valore della propria
azienda, che, nella maggior parte dei casi, tende a sovrastimare. Come se non
bastasse, il polso del mercato ci dice che l’Italia, per quanto concerne il
settore dell’Information & communication technology, è decisamente indietro
rispetto alle altre nazioni europee. Difficilmente compriamo altre società
all’estero.

Quali sono i tempi medi per un progetto
d’acquisizione?

È molto difficile a dirsi. Le tempistiche variano da un
minimo di sei mesi a un massimo che può superare anche i due anni. Si tratta, in genere, di trattative sono comunque
abbastanza lunghe sia per problemi legati al tempo – sembra ridicolo a dirsi, ma
è difficile conciliare gli impegni delle diverse parti -, e quasi mai il valore
dell’offerta coincide con quello della
domanda.

Quali sono i vostri principali
competitor?

Le banche che però non hanno il nostro grado di
specializzazione. Alcune volte le società di auditing, ma Regent Associates è
l’unica realtà che si occupa, nel nostro Paese, di merger & acquisition in
ambito high-tech. Tra l’altro ci occupiamo anche di valutare aziende che non
desiderano essere acquistate, ma che vogliono conoscere il proprio valore in
maniera certificata. Presso queste realtà inviamo un esperto che, insieme alla
valutazione, fornisce una sorta di strategic audit per indicare all’azienda i
percorsi da intraprendere per incrementare il proprio
business.

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