Come difendersi dal cybersquatting

Si diffondono a macchia d’olio le tecniche fraudolente per accaparrarsi nomi a dominio di marchi celebri, da parte di chi, non legittimato, intende poi rivenderli a prezzi esorbitanti

Con l’espressione cybersquatting, fenomeno definito altrimenti domain grabbing, si fa riferimento all’illecita attività di acquisizione della titolarità di nomi a dominio corrispondenti a marchi di aziende leader sul mercato o a nomi di personaggi celebri, al fine di realizzare un lucro derivante dalla successiva vendita del dominio a prezzi esorbitanti a chi ne abbia interesse o il diritto al legittimo utilizzo.

Il fenomeno è da tempo, oramai, uno degli argomenti maggiormente dibattuti ed oggetto di diatribe, anche giuridiche e giurisprudenziali, che accompagnano la costante progressione della rete ad assurgere il ruolo di vetrina planetaria in tema di commercio e social network.

Domain grabbing: un po’ di storia
Nato negli Stati Uniti sul finire degli anni novanta, il domain grabbing si è poi diffuso ovunque e tutt’oggi le statistiche ne testimoniano una crescita costante dal punto di vista quantitativo e dell’insidiosità delle innovative tecniche progressivamente adottate. Nel 2008, secondo i dati Wipo (World Intellectual Property Organisation), sono stati ben 2.329 i casi trattati: dai siti delle olimpiadi di Madrid 2016, alla BBc, passando per Google o Nestlè.

Oltre che acquisire un dominio ad una cifra contenuta per poi rivenderlo ad un prezzo anche molto elevato, gli scopi che i cybersquatter si prefiggono possono essere molteplici e diversi: ad esempio recare danno all’immagine commerciale di chi ha il proprio nome legato al nome a dominio registrato oppure deviare e sfruttare il traffico web generato sul sito web dell’azienda presa di mira,  per cercare di vendere sul proprio sito su cui gli utenti vengono dirottati prodotti contraffatti o articoli di altre marche ma della medesima categoria merceologica rispetto a quella del nome a dominio registrato.

Natura giuridica del nome a dominio in Internet
Dal punto di vista giuridico, sin dalle prime pronunce della giurisprudenza statunitense, il diritto italiano, ad eccezione di isolate pronunce aventi segno opposto, tende a considerare equiparabile il concetto di dominio con quello giuridico di segno distintivo e illecito l’utilizzo del marchio o nome altrui all’interno del proprio dominio.

Già in epoca antecedente rispetto all’entrata in vigore del Codice dei diritti di proprietà industriale, la giurisprudenza ha riconosciuto ai nomi a dominio, una forte valenza distintiva in grado di assurgere, di pari passo con lo sviluppo dell’economia digitale, il ruolo di segno distintivo più importante.

Nei casi in cui non vi è violazione della norma posta a tutela dei segni distintivi, ad esempio nel caso in cui due potenziali aventi diritto abbiano proceduto alla legittima registrazione di un medesimo marchio ma con riferimento a prodotti o servizi del tutto differenti, va applicata la regola secondo la quale prior in tempore, potior in iure. In tale ottica, la parte che trova il dominio corrispondente al proprio marchio già registrato lecitamente, non potendo sulla rete coesistere due domini ugali, qualora sia interessato a registrare ugualmente un proprio nome a dominio con i riferimenti di interesse, può cambiare il top level domain o inserire una sigla indicante la provenienza geografica o il settore merceologico nel second level domain. 

Oggi vi sono domain name (DN) come ebay.com valutati decine di milioni di dollari, così come anche DN “generici” sono stimati valere cifre esorbitanti.

Mentre un marchio sex per pubblicazioni a contenuto sessuale varrebbe quasi nulla, il DN sex.com, costato al soggetto che per primo lo aveva registrato trentacinque dollari, è poi stato valutato settantacinque milioni di dollari.

Procedure di difesa dal cybersquatting
In Italia, in caso di contestazione sull’assegnazione di un nome di dominio, va applicato l’articolo 14 delle regole di naming definite dalla Naming Authority dell’Istituto per le Applicazioni telematiche del CNR. Secondo quanto previsto da tale disposizione, colui che ritenendo di averne diritto all’uso esclusivo intende contestare un nome che è già stato assegnato ad altro soggetto, deve inviare alla Registration Authority una raccomandata con ricevuta di ritorno.

Ricevuta la raccomandata, la Registration Authority deve inviare all’autore della missiva copia dei documenti inviati precedentemente da colui che ha poi ottenuto la registrazione del nome a dominio.

Nell’istanza che compone la documentazione ci sarà la richiesta di assegnazione di un nome a dominio e la lettera con la quale l’istante ha dichiarato di non essere a conoscenza di motivi che ostano alla stessa, oltre che l’eventuale clausola arbitrale.

Qualora la clausola arbitrale sia stata sottoscritta, il contestatore può avvalersene e promuovere una procedura arbitrale per la risoluzione della controversia, optando per una procedura molto più rapida presso la medesima Registration Authority.

Nel caso in cui il titolare del nome non dovesse desistere, all’attore non rimane che ricorrere all’Autorità Giudiziaria.

I primi compiti della Registration Authority e della Naming Authority
Per ciò che attiene il nostro Paese, la gestione dei nomi a dominio era in origine affidata alla Registration Authority ed alla Naming Authority; alla prima competevano gli aspetti meramente operativi e tecnici e la responsabilità per l’assegnazione dei suffissi .it, mentre alla seconda spettavano competenze prettamente normative e di definizione delle prassi cui dovevano attenersi i vari mantainer che si occupavano della registrazione e del mantenimento dei nomi a dominio.

Un recente riassetto del NIC ha comportato la centralizzazione delle competenze in capo alla Registration Authority; la Naming Authority ha preso il nome di Commissione per le regole e le procedure tecniche del registro del ccTLD .it, mentre le Regole di naming sono ora tecnicamente definite con l’espressione interamente italiana Regolamento per l’assegnazione e gestione dei nomi a dominio.

A tal proposito va sottolineato come il citato Regolamento riveste un carattere esclusivamente privatistico ed in caso di conflitto legale, le norme da esso previste sono destinate a cadere rispetto a norme giuridiche dell’ordinamento.

Tale situazione di fatto può, paradossalmente, rendere realizzabile l’ipotesi che anche in caso di sostanziale e formale correttezza dell’assegnazione di un dominio ai sensi delle sudette regole di naming, il soggetto giuridico o fisico pur avendo ottenuto l’autorizzazione alla registrazione di un determinato nome a dominio, potrebbe vedersi costretto, a seguito di un pronunciamento di un Tribunale della Repubblica, a rinunciare o cedere detto domain name.

La procedura di registrazione
La registrazione di un nome a dominio risulta essere un’operazione abbastanza semplice ed economica che comporta, per la registrazione annuale di un nome a dominio con suffisso .it, una spesa che varia da 10 a 35 euro, a seconda dei servizi aggiuntivi, come filtri antispam ed antivirus, spazio web, ecc,  richiesti dall’utente.

All’utente basterà collegarsi al sito web di uno dei tanti mantainer che offrono tale tipo di servizio, verificare che il nome a dominio di interesse non sia già occupato da altri soggetti e sia quindi disponibile, versare la quota annuale prevista e sottoscrivere la Lettera di Assunzione della responsabilità (LAR), nella quale l’utente dichiara e sottoscrive di essere a conoscenza del Regolamento per l’assegnazione e gestione dei nomi a dominio predisposto dalla Commissione per le regole e le procedure tecniche del registro del ccTLD .it e di rispettarne i contenuti nella gestione ed utilizzo del nome a dominio.

La discrasia principale risiede nel fatto che quanto dichiarato nella LAR dal richiedente, non viene verificato dalla Registration Authority, alla quale spetta l’esclusivo limitato compito di operare un controllo formale dei requisiti, facendo ricadere in capo all’assegnatario del nome a dominio l’eventuale responsabilità penale e civile derivante da un uso non lecito o scorretto del DN.

In ultima analisi, quindi, la registrazione di un domain name pur essendo avvenuto correttamente da un punto di vista prettamente tecnico, potrebbe contestualmente integrare, a seconda dei casi, un atto di concorrenza sleale, un atto lesivo del diritto al nome ovvero un illecito per la legge marchi.

Mentre le regole di naming della Internic non vietano esplicitamente il trasferimento del nome a dominio in qualunque modalità lo si compia, pena la revoca d’ufficio del nome a dominio del Nic, le regole italiane vigenti proibiscono espressamente la possibilità di poter operare sul domain name qualsiasi atto dispositivo come la vendita e l’affitto.

Ovviamente, qualora si è in presenza del trasferimento di un ramo d’azienda, non vi sono preclusioni a trasferire unitamente ad essa il nome a dominio collegato.

I quattro modi per riprendersi il dominio

Nell’ipotesi in cui un soggetto fisico o un’azienda decida di voler utilizzare la grande vetrina del web e si accorga che il nome a dominio corrispondente al proprio nome o marchio sia stato precedentemente assegnato a persona che, secondo il parere dell’impresa, non ne avrebbe diritto, le strade percorribili per acquisire la possibilità di uso del DN sono essenzialmente quattro:

  • la trattativa commerciale, ovvero l’acquisto del dominio dall’attuale assegnatario;
  • il ricorso alla procedura di riassegnazione;
  • il ricorso all’arbitrato irrituale
  • l’avvio di un procedimento ordinario presso un Tribunale della Repubblica.

Quest’ultima modalità, pur risultando la più onerosa in termini di denaro che di tempo e viene ritenuto poco conveniente dai privati o dalle aziende di piccole dimensioni, è l’unico rito che consente a colui che risulta vincitore della diatriba, di ottenere, oltre alla possibilità d’uso del dominio oggetto di contesa, anche un indennizzo del danno patito, sia in forma di danno emergente che di lucro cessante.

Le Regole di naming prevedono, inoltre, una “procedura di riassegnazione” dei nomi a dominio “.it” disciplinata dall’articolo 16 del “Regolamento per l’assegnazione e gestione dei nomi a dominio”.

Tecnicamente si tratta di Procedura Alternativa di Risoluzione delle Dispute (da ADR, Alternative Dispute Resolution), creata sulla similare procedura prevista dall’ICANN, l’ente statunitense che gestisce i TLD .com, .org e .net.

Presso la “Commissione per le regole e le procedure tecniche del registro del ccTLD .it” sono accreditati undici Enti Conduttori, rappresentati da organismi in possesso di specifici requisiti necessari a svolgere la procedura amministrativa di riassegnazione di un nome a dominio.

Ciascun Ente Conduttore è dotato di almeno 15 “saggi”, ovvero soggetti fisici dalla “comprovata esperienza” in materia di internet e domini, ai quali viene affidato il compito di pronunciarsi circa la riassegnazione di un dominio oggetto di controversia.

In termini di celerità della decisione ed economicità del procedimento, si tratta di una procedura dagli indubbi benefici rispetto ad un procedimento ordinario instaurato presso un Tribunale, che mediamente si conclude in un arco temporale di 30 giorni ed implica il sostenimento di spese che possono variare da 1.000,00 a 3.000,00 euro, a fronte di un giudizio civile che potrebbe comportare diverse migliaia di euro in spese legali e richiedere diversi anni per poter permettere al vincitore di ottenere un titolo esecutivo.

Ad ogni buon conto, va sottolineato, che il giudizio ex articolo 16, rappresenta esclusivamente una interpretazione del Regolamento di Assegnazione avente la finalità di decretare la legittimità del corrente assegnatario all’assegnazione del dominio oggetto di controversia ovvero deliberare per il trasferimento del DN nella disponibilità del ricorrente.

Il “saggio” chiamato a decidere, ha la sola facoltà di approvare o respingere l’istanza del ricorrente, stabilendo il trasferimento del dominio o la conservazione dello stesso nella possibilità di sfruttamento del resistente; non gode di poteri istruttori e formula la propria decisione esclusivamente sulla documentazione fornita dalle parti, non ha il potere di decretare un risarcimento del danno subito o di imporre misure cautelari.

Affinchè il ricorso possa essere accolto e possa venire disposto il trasferimento del nome a dominio contestato, devono necessariamente verificarsi simultaneamente tre condizioni necessarie:

  • che il nome a dominio contestato sia uguale o talmente simile tale da poter generare confusione rispetto al marchio o al nome del ricorrente;
  • che l’attuale assegnatario non goda di alcun diritto o titolo in merito al nome a dominio oggetto di diatriba;
  • che il nome a dominio risulti lesivo dei diritti altrui e sia stato registrato e venga utilizzato in “mala fede”.

Ultima soluzione per ottenere la riassegnazione di un nome a dominio, è rappresentata dall’istituto dell’arbitrato, previsto dall’articolo 15 del Regolamento di Assegnazione, ma il cui costo elevato ha rappresentato il motivo di scarso successo.

Nella Lettera di Assunzione di Responsabilità (LAR) sottoscritta dall’utente in sede di richiesta di assegnazione di un nome a dominio, l’istante ha facoltà di aderire ad una clausola nella quale si impegna a dirimere eventuali contese sul relativo DN di fronte ad un collegio arbitrale, il quale, in presenza di gravi motivi, su richiesta di una delle parti, ha il potere di adottare provvedimenti di tipo cautelare cui la Registration Authority è tenuta a dare immediata esecuzione.
La decisione del Collegio è parificata ad un provvedimento emesso dalla magistratura ordinaria ed è inappellabile nel merito.

La “traffic diversion”
Ad una prima epoca in cui gli early adopeters (primi utilizzatori) del web hanno sfruttato l’inerzia dei titolari di determinati marchi e la grave situazione di incertezza normativa per registrare nomi a dominio uguali a marchi famosi o nomi di persone celebri, per poi rivenderli a prezzi elevatissimi agli aventi diritto interessati, fa seguito l’epoca contemporanea in cui l’allarme è rappresentato dalla cosiddetta traffic diversion, ovvero da quelle tecniche di programmazione delle pagine internet che consentono di dirottare visitatori su determinati siti web sfruttando la popolarità acquisita da nomi o marchi altrui.

Tecnicamente la traffic diversion consiste nella deviazione della navigazione degli utenti che, cercando un determinato marchio, si trovano invece dirottati su siti web che non hanno alcuna attinenza o legame con il legittimo titolare del marchio oggetto di ricerca.

Si tratta di operazioni spesso non percepibili dall’utente comune e rese possibili attraverso l’adozione di una serie di espedienti tecnici inseriti nel codice html sottostante le pagine dei siti web che, in ragione dell’elevato contenuto tecnico, spesso richiedono competenze informatiche superiori alla media ovvero l’intervento di qualificati operatori del settore.

Con l’espandersi del fenomeno cybersquatting, sono sorte negli anni società che offrono il servizio di Domain Brokerage, in grado di mettere a disposizione degli utenti oltre che l’opera di individuazione dell’attuale assegnatario potenzialmente illegittimo del DN, anche la negoziazione del prezzo dei domini, il trasferimento ed il cambio assegnatario.E’ difficile, infatti, che una singola azienda sia in grado di operare, in maniera autonoma, un’efficace azione di monitoraggio del marchio in internet.

* Maggiore della Guardia di Finanza

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