App Store, pubblicità e concorrenza: Apple sanzionata dall’Antitrust per 98,6 milioni

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L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiuso una delle istruttorie più rilevanti degli ultimi anni sull’equilibrio tra privacy e concorrenza nell’ecosistema digitale, infliggendo ad Apple Inc., Apple Distribution International Ltd e Apple Italia S.r.l. una sanzione complessiva di 98.635.416,67 euro per abuso di posizione dominante. Al centro del provvedimento c’è l’App Tracking Transparency (ATT), la policy introdotta da Apple nel 2021 per disciplinare il tracciamento a fini pubblicitari su iOS.

Il perimetro della decisione Antitrust

Secondo l’Autorità, Apple ha violato l’articolo 102 del TFUE nel mercato della fornitura agli sviluppatori di piattaforme per la distribuzione online di app su iOS, un mercato in cui l’App Store rappresenta un punto di accesso obbligato e nel quale la società esercita una posizione di assoluta dominanza. L’istruttoria, avviata nel 2023 e conclusa nel dicembre 2025, è stata condotta in coordinamento con la Commissione europea, con altre autorità nazionali della concorrenza e con il Garante per la Protezione dei Dati Personali.

L’Autorità chiarisce fin dall’inizio che il provvedimento non mette in discussione il principio della tutela della privacy degli utenti, né il diritto di Apple di rafforzarla. Il nodo non è l’obiettivo dichiarato, ma le modalità concrete con cui tale obiettivo è stato perseguito all’interno dell’ecosistema iOS.

Come funziona l’ATT e perché è contestata

L’ATT impone agli sviluppatori terzi di mostrare agli utenti una schermata standard, l’ATT prompt, per ottenere il consenso al tracciamento e al collegamento dei dati a fini pubblicitari. Tuttavia, l’Autorità ha accertato che questo prompt non è sufficiente, da solo, a soddisfare i requisiti della normativa privacy. Di conseguenza, gli sviluppatori sono costretti ad affiancare all’ATT prompt una propria schermata di raccolta del consenso, il cosiddetto CMP prompt.

Il risultato è una duplicazione inevitabile della richiesta di consenso per lo stesso trattamento dei dati. Una duplicazione che, secondo l’Antitrust, non è un effetto collaterale neutro, ma una conseguenza diretta delle regole imposte unilateralmente da Apple.

Effetti economici e distorsioni concorrenziali

La decisione ricostruisce in modo dettagliato l’impatto dell’ATT sull’intera filiera della pubblicità online mobile in-app. I dati degli utenti sono un elemento essenziale per la pubblicità personalizzata: qualità e quantità delle informazioni raccolte incidono direttamente sulla capacità di profilare gli utenti e di indirizzare messaggi pubblicitari efficaci.

La maggiore onerosità del processo di acquisizione del consenso su iOS ha determinato, per i soli sviluppatori terzi, una riduzione dei tassi di consenso alla profilazione. Questo ha comportato minori ricavi per chi basa il proprio modello di business sulla vendita di spazi pubblicitari, maggiori costi per gli inserzionisti e difficoltà crescenti per le piattaforme di intermediazione pubblicitaria. L’effetto risulta ancora più penalizzante per gli operatori di minori dimensioni, che dispongono di meno dati e di minori risorse per adattarsi alle nuove regole.

Il principio di proporzionalità al centro del provvedimento

Uno dei passaggi chiave della decisione riguarda l’assenza di proporzionalità dell’ATT rispetto all’obiettivo di tutela della privacy. L’Antitrust osserva che Apple avrebbe potuto garantire lo stesso livello di protezione consentendo agli sviluppatori di raccogliere il consenso in un’unica soluzione, evitando la duplicazione delle schermate e riducendo l’impatto negativo sulla concorrenza.

Secondo l’Antitrust, l’imposizione di regole più onerose del necessario configura un abuso di sfruttamento: Apple ha potuto imporle proprio in virtù della sua posizione dominante, senza un confronto preventivo con gli sviluppatori e senza adottare soluzioni meno restrittive.

I vantaggi per Apple e il quadro europeo

Il provvedimento dell’Antitrust evidenzia anche come l’ATT sia suscettibile di generare benefici economici per Apple, sia in termini di commissioni incassate tramite l’App Store sia in termini di crescita della propria divisione pubblicitaria, non soggetta alle stesse condizioni applicate ai terzi.

La decisione italiana si inserisce in un contesto europeo più ampio. Autorità come quella francese hanno già sanzionato Apple per condotte analoghe, mentre in altri Paesi sono in corso procedimenti paralleli. Il messaggio che emerge è netto: la protezione della privacy non può diventare una leva per alterare il campo di gioco competitivo, soprattutto quando chi definisce le regole è anche un operatore attivo nei mercati a valle.

Un precedente destinato a pesare

La sanzione dell’AGCM segna un precedente importante per il rapporto tra piattaforme digitali, sviluppatori e mercato pubblicitario. Non mette in discussione la centralità della privacy, ma ribadisce che, in un ecosistema chiuso e dominato da un singolo attore, anche le scelte tecniche e di design delle policy possono assumere rilevanza antitrust quando producono effetti sproporzionati e distorsivi della concorrenza.

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