Uno studio della scuola di business Insead suggerisce a Cio e Cfo l’uso di una metodologia per quantificare il valore delle applicazioni in loro possesso.
«Si dice che un gatto abbia nove vite. Il software ne possiede di più. Ogni volta che pensi di essere pronto a dismettere un software, ti viene chiesto di tenerlo come riserva. E spesso ci sono ottime ragioni per farlo».
«Il trascinarsi dei vecchi asset software consuma una porzione significativa delle risorse tecnologiche della mia azienda».
«Stiamo cagionandoci un grave disservizio. Abbiamo creato una base installata enorme ma intangibile e abbiamo deciso di ignorarla».
«Abbiamo sotto-investito nella generazione di valore dai nostri software. Penso che questo causerà un rallentamento nella crescita dell’azienda».
Sono alcune risposte ottenute in forma anonima dal Professor Soumitra Dutta, che per la scuola di business Insead ha seguito il perfezionamento di una ricerca promossa da Micro Focus che ha lo scopo di persuadere i cosiddetti dirigenti di “livello C” ad abbandonare la via dell’amministrazione del valore delle piattaforme core come un bene ammortizzato, prendendo coscienza del valore reale, da comunicare agli alti livelli dirigenziali.
Lo studio condotto da Dutta poggia su una ricerca qualitativa condotta tra i Cio e i Cfo (di cui abbiamo già dato evidenza: si veda il link – ndr.) e rivela che nonostante la spesa globale annua in It nel 2006 sia stata di mille miliardi di dollari, i sistemi su cui tali soldi sono stati riversati risultano tutt’ora un bene dimenticato o ignorato dalle stesse più importanti multinazionali.
Dutta, invece, preferisce identificare il software come un bene chiave e cruciale per le strategie di business, oltre che un importante veicolo per la creazione di valore.
«Le grandi aziende hanno amministrato le proprie piattaforme software non come un bene in grado di creare valore ma come una voce di spesa da amministrare. Questo approccio va cambiato – dichiara in una nota -. Sia i Cio che i Cfo devono comunicare il valore in termini di potenziale di business verso i vertici aziendali, individuando questa voce come prioritaria nella misurazione del valore dell’installato».
Per farlo Dutta suggerisce di usare la metodologia di analisi Conjoint quale miglior approccio nella misurazione del valore dei software core.
La metodologia Conjoint è una tecnica di ricerca utilizzata per misurare i trade-off utilizzati dal personale nella scelta dei prodotti e dei service provider. Viene utilizzata per predire le scelte future sia nei prodotti che nei servizi.
L’analisi assume che un qualsiasi prodotto possa essere “smembrato” nei suoi attributi. Ad esempio: una macchina possiede peculiarità quali il colore, il prezzo, le dimensioni, il consumo, il modello. Utilizzando il metodo Conjoint, il valore che ogni singolo attribuisce ad un prodotto è l’equivalente alla somma delle funzioni che ogni singolo deriva da ogni funzione. Oltre a questo la preferenza per un prodotto e la propensione all’acquisto sono proporzionali all’utilità che ogni singolo ritiene di trarne.
Per Dutta in un’applicazione tipica della metodologia di analisi Conjoint, l’operatore applica un trade-off attraverso le funzionalità e le specifiche di ogni singolo prodotto. Se le aziende analizzassero il business generato grazie ai sistemi It in termini di valore, si potrebbe creare l’opportunità di calcolare il reale peso finanziario delle proprie piattaforme software in termini di sviluppo.





