Prove tecniche di voto e di scrutinio elettronico. 38 milioni di euro per un risultato poco probante. Forse valeva la pena rischiare di più. Ma forse, non Italia.
Ci rendiamo conto che nel bailamme di queste ore la questione dello
scrutinio elettronico non è esattamente il problema principale. Però, visto che
non abbiamo nessuna intenzione di aggiungere la nostra modesta opinione alle
troppe che in questi giorni affollano le cronache, preferiamo limitare la nostra
osservazione all’esperimento che ha riguardato Liguria, Lazio, Puglia, Sardegna
e Calabria.
I pochi racconti indicano che molte sono state le
perplessità legate al test.
Perplessità che partono dall’accreditamento
degli “esperti” (che in qualche caso non si sono rivelati tali) che
dovevano gestire la procedura per arrivare ad alcuni episodi come la correzione
dei voti inseriti per sbaglio che non doveva essere permessa e in qualche caso
lo è stato.
Il tutto per una procedura che in molti hanno chiamato voto
elettronico ma che in realtà è stato un semplice scrutinio che in Liguria ha
permesso di avere i dati definitivi venti minuti prima rispetto al metodo
tradizionale.
Troppo poco per giustificare una spesa, 38 milioni di
euro, che ha prodotto un simile risultato.
Nel frattempo in quattro
sezioni di Cremona si svolgeva un altro piccolo test di vero voto elettronico
che è andato bene. L’esperimento era molto ridotto e fa testo fin a un certo
punto ma viene da pensare che se esperimento doveva essere allora si poteva
volare un po’ più alto e andare subito al voto elettronico.
In Brasile,
non negli Stati Uniti o nella ultra tecnologica Corea del Sud, già lo fanno da
tempo.
Ma, per quel che ne sappiamo, il Brasile non è un Paese spaccato in
due senza che le due parti abbiano un minimo di fiducia reciproca.
Anche di
questo bisogna tenere conto.





