Suicida l’attivista che per anni si è attivamente dedicato alla battaglia per la libera circolazione della conoscenza dichiarando guerra al copyright. E’ polemica sull’operato del sistema giudiziario statunitense.
Un suicidio, il sistema giudiziario statunitense, il MIT (Massachusetts Institute of Technology) e la libera diffusione del sapere: un’incredibile storia li lega a doppio filo. Aaron Swartz
è il 26enne, nativo di Chicago, che si è tolto la vita nei giorni
scorsi: il corpo è stato rinvenuto nel suo appartamento da parte della
fidanzata. Programmatore, scrittore e attivista, Swartz era una grande
“mente”: fu coautore delle specifiche di RSS 1.0, la prima versione
dell’oggi popolarissimo formato, basato sull’uso di XML, per la
distribuzione di contenuti via web nonché fondatore di numerosi
progetti. Il giovane collaborò alla realizzazione dell’architettura di Open Library, fondò Infogami – società che si fuse con Reddit molto tempo fa -, promose la creazione di un gruppo schierato contro l’approvazione di SOPA (Stop Online Piracy Act), normativa USA che avrebbe potuto aprire le porte ad una “censura di stato” sui contenuti online.
Swartz,
classe 1986, si è attivamente dedicato alla battaglia per la libera
circolazione della conoscenza dichiarando guerra al copyright. Qualche
tempo fa il giovane sferrò un attacco nei confronti di JSTOR, nota
libreria online che vanta un catalogo di testi accademici davvero molto
esteso, sottraendo i file PDF contenenti tutto il materiale. Per
riuscire nell’intento, Swartz sfruttò l’infrastruttura e la banda di
rete del MIT, forzò i sistemi di JSTOR e saccheggiò 4 milioni di libri a
catalogo (distribuiti dalla libreria a titolo oneroso). L’accusa, che a
luglio 2011, chiamò Swartz a rispondere del suo operato sosteneva che
il ricercatore sarebbe stato in procinto di pubblicare i libri
elettronici sottratti dai sistemi di JSTOR sui circuiti peer-to-peer.
Vista
l’azione dimostrativa di Swartz, JSTOR ritirò la sua denuncia e chiese
ai giudici di archiviare il caso. Il MIT, invece, non agì seguendo lo
stesso metro di giudizio e il procedimento legale continuò. Swartz, a
questo punto, avrebbe rischiato fino a 50 anni di carcere ed un’ammenda
pari a 4 milioni di dollari. La prossima udienza avrebbe dovuto
svolgersi il 4 febbraio ma il giovane americano ha voluto porre a suo
modo la parola fine sulla triste vicenda.
La famiglia di Swartz punta il dito contro il sistema giudiziario a stelle e strisce
e contro l’accusa che avrebbe gestito il caso senza alcun rispetto per
il giovane e per i suoi ideali. Il programmatore-attivista, in
definitiva, aveva messo in piedi una forma di protesta senza trarne
alcun vantaggio personale: decine di anni di galera per quello che in
molti stentano a definire un crimine appare ai più una pena
assolutamente sproporzionata. “Viviamo in un mondo dove gli artefici della crisi finanziaria se ne vanno tranquillamente a pranzo alla Casa Bianca“, scrive Lawrence Lessig, giurista amico di Swartz e fondatore delle Creative Commons.
Il MIT ha pubblicato in una nota la sua posizione
evitando, però, di commentare ciò che è accaduto negli ultimi due anni.
Viene espresso dolore per la scomparsa di Swartz e si fa presente che
verrà indagata un’inchiesta sulle decisioni che sono state prese dai
responsabili e dai legali dell’università di ricerca.
Frattanto, il gruppo Anonymous ha immediatamente reagito alla notizia
della morte di Swartz aggredendo la home page del MIT, istituto che
viene considerato responsabile della tragica scelta del giovane
statunitense.
Adesso, dopo la scomparsa di Swartz, probabilmente
non si osserverà il solito silenzio: anzi, tutti coloro che hanno
condiviso le battaglie del 26enne di Chicago faranno sentire ancora più
forte la loro voce.





