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630 startup e scaleup Fintech e Insurtech in italia, 900 milioni di euro raccolti

Nonostante le tensioni geopolitiche ed economiche, l’ecosistema Fintech & Insurtech italiano ha continuato a crescere nel 2022, con sempre maggiori attori, ricavi, i primi Unicorni, nuovi utenti e apprezzamento dei servizi digital finanziari e assicurativi. Nel nostro paese si contano 630 startup e scaleup Fintech & Insurtech, di cui 27 costituite da gennaio ad oggi, capaci di raccogliere oltre 900 milioni di euro di funding nel 2022, raggiungendo complessivamente 3,7 miliardi di euro dal 2009 ad oggi. Permane un alto livello di concentrazione: il 5% delle startup/scaleup ha raccolto il 90% del funding totale, mentre Milano è l’indiscussa capitale con il 69% degli investimenti complessivi.

Buoni segnali arrivano dai ricavi, quelli mediani per startup/scalup previsti a fine 2022 sono quasi il doppio rispetto a quelli 2021, ma ancora non si generano stabilmente EBITDA e flussi di cassa positivi e solo il 44% delle realtà è in grado di guardare ai mercati esteri. In generale, la proposta delle startup/scaleup italiane è rivolta più alle PMI (71%) che ai consumatori (39%), ma non è da sottovalutare il 60% che si rivolge a istituti finanziari. Ben l’83% delle realtà innovative ha in corso delle partnership, soprattutto per avvalersi del network di contatti strategici o delle competenze del relativo partner.

Tra gli abilitatori dell’innovazione finanziaria, si fanno largo i modelli as-a-Service, adottati oggi dal 75% delle startup/scaleup italiane. Tra questi spicca il Banking-as-a-Service (BaaS): un istituto finanziario autorizzato (ad esempio una banca) offre servizi, licenza e “libri” ad un secondo attore non autorizzato (come una digital company), che cura l’interazione con il cliente finale e l’esperienza d’uso. I modelli BaaS da un lato creano opportunità di mercato per le banche tradizionali, dall’altro un’aperta competizione dei nuovi attori, come nel caso delle Challenger Bank: le banche digitali gestibili attraverso app e smartphone sono ormai 120 in Europa e, oltre al conto corrente e strumenti di pagamento, il 44% offre anche possibilità di investimento, il 32% di richiedere prestiti e il 20% di sottoscrivere polizze.

Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Fintech & Insurtech della School of Management del Politecnico di Milano.

“Nel 2022 la situazione geopolitica, l’inflazione crescente e l’aumento dei tassi di interesse hanno rapidamente mutato lo scenario per il settore bancario e assicurativo – afferma Marco Giorgino, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech -. In un contesto di crescente complessità, non mancano i segnali positivi per il Fintech e Insurtech italiano: cresce il numero delle realtà e aumentano ricavi, anche se le imprese innovative guardano ancora poco ai mercati esteri e non attirano stabilmente funding da attori internazionali, mentre i risultati delle partnership sono ancora limitati. L’ecosistema è vivace e i clienti si dimostrano sempre più interessati alle proposte innovative sia delle startup che degli incumbent, come si nota dalla crescente predisposizione a condividere dati e affidarsi a nuovi attori in ottica Embedded Finance & Insurance”.

Il contesto europeo – Considerando le solo realtà che hanno ricevuto funding pari almeno a 1 milione di dollari (un campione diverso rispetto al censimento italiano), a livello europeo si contano 1.392 startup (+81% rispetto al 2020), che hanno raccolto complessivamente 35 miliardi di dollari negli ultimi 5 anni (+73% rispetto al 2020), con una media di 25 milioni di dollari ciascuna. Il Regno Unito si conferma la culla del Fintech in Europa, con il 38% delle startup, seguito da Francia (11%) e Germania (9%), in vetta anche per entità del funding raccolto (17,4 miliardi di dollari), seguito a distanza da Francia (3,2 miliardi) e Germania (3 miliardi).

Il principale ambito delle startup europee è il mondo dei pagamenti, primo per numero di unicorni: vi opera il 29% delle startup ma ha ricevuto spinte importanti dagli incumbent. Sono di grande prospettiva, anche gli ambiti delle soluzioni digitali per investimenti (29% delle startup), Cryptoasset (23%), Lending (17%), Insurtech (13%) e Regtech (10%): settori con marginalità mediamente superiori, un legame più forte con la fiducia del consumatore finale, che spesso necessitano di graduali investimenti in infrastruttura. Poiché il funding segue le caratteristiche intrinseche di ogni attività finanziaria, le startup Proptech e Lending hanno raccolto mediamente fondi più ingenti (rispettivamente 65,5 milioni di dollari e 40,3 milioni di dollari), poiché real estate e lending sono per natura più capital intensive.

I modelli Banking-as-a-Service. “Il 2022 può essere definito come l’anno dei modelli as-a-Service e in particolare del Banking-as-a-Service– spiega Laura Grassi, Direttrice dell’Osservatorio Fintech & Insurtech -. Grazie al BaaS, le digital company che non hanno una licenza bancaria possono offrire ai propri clienti servizi finanziari digitali, come conti correnti online, soluzioni di pagamento, carte di credito, prestiti, assicurazioni e investimenti. Per il prossimo futuro ci attendiamo ulteriori sviluppi in cui attori non finanziari abiliteranno velocemente e senza legacy la loro base clienti a prodotti o servizi finanziari”.

Quando il prodotto è direttamente integrato nel customer journey di attori non finanziari e distribuito tramite i loro canali, si parla di Embedded Financeo di Embedded Insurance, ad esempio la possibilità di richiedere un prestito nell’acquisto su un sito di eCommerce o di sottoscrivere una polizza comprando un viaggio. Gli utenti italiani sono molto interessati: il 45% dei consumatori valuterebbe la sottoscrizione di una polizza durante il processo d’acquisto di un viaggio, il 65% prenderebbe in considerazione almeno una proposta assicurativa in logica embedded. Pochi, almeno per il momento, prenderebbero in considerazione proposte embedded di operatori non finanziari per gestire i propri risparmi (solo il 22% almeno uno), ma il 53% valuterebbe di ottenere un piccolo finanziamento in questa modalità (53% almeno uno).

Il Banking-as-a-Service è un modello ricorrente anche tra le Challenger Bank. Delle 120 attive in Europa, 56 utilizzano una licenza di terzi, quindi agiscono in partnership con un operatore BaaS, mentre 64 dispongono di un’autorizzazione propria, anche se non sempre bancaria. 93 si rivolgono al segmento retail, di cui 58 in esclusiva. Oltre ad offrire un conto e strumenti di pagamento, molte realtà cercano anche di offrire prodotti a marginalità maggiore: il 44% offre anche la possibilità di investimento sotto forma di conti deposito o di investimenti in strumenti finanziari, il 32% offre la possibilità di richiedere prestiti e il 20% di sottoscrivere polizze.

I consumatori. I modelli di Business as-a-Service porteranno probabilmente a un’ulteriore riduzione del numero delle filiali bancarie sul territorio. Ma i consumatori italiani non reagirebbero necessariamente in modo negativo: di fronte alla chiusura della filiale di riferimento, solo il 21% cambierebbe banca (anche se non sempre lo fa), mentre il 24% sarebbe disposto a restare nella stessa, cambiando filiale o modalità di interazione, il 35% a spostarsi su strumenti digitali (App o Pc), a cui si aggiunge un 20% che già oggi non fruisce della filiale.

In generale, tra i clienti delle banche aumenta la predisposizione ad usare i canali digitali. Nel primo semestre del 2022 gli operatori bancari italiani hanno registrato una crescita del 6% di clienti che usano i canali digitali (home e mobile banking). Cresce del 17% anche il numero delle transazioni digitali (operazioni come bonifici, ricariche telefoniche, pagamento di bollette, compravendita di titoli, eseguite tramite home o mobile banking). Tra tutti i correntisti attivi, il 63% ha utilizzato almeno una volta i canali digitali (il 55% se si guarda il solo mobile).

L’online non è usato solo per queste singole “operazioni semplici”. Alcuni clienti stanno proprio optando per un’offerta bancaria interamente digitale. Il 24% dei clienti retail attivi in internet in Italia, infatti, ha uno o più conti aperti presso banche online, percentuale che sale al 40% nei giovani tra i 18 e i 24 anni, e che si riduce gradualmente fino all’11% nella fascia 55-74 anni. Analogamente, mediamente il 53% dei consumatori italiani con un conto online lo usa come conto principale, ma la percentuale sale all’86% nella fascia 18-24 anni.

“Anche nel corso del 2022 è continuata la crescita dell’educazione digitale degli italiani in ambito finanziario – evidenzia Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech -. In generale, aumenta la predisposizione ad usare i canali digitali, soprattutto tra i giovani che, da un lato sono più abituati a fruire di servizi in digitale, dall’altro hanno verosimilmente necessità meno sofisticate e compatibili in pieno con la proposta attuale delle banche digitali”.

L’Insurtech. Analizzando il solo Insurtech, nel 2022 si contano 120 startup attive (4 costituite nell’ultimo anno) che hanno raccolto 420 milioni di euro a partire dal 2009 (mediamente 3,5 milioni di euro per startup, leggermente inferiore rispetto a tutto il Fintech che si stabilizza a 5,8 milioni) e 53 milioni nel solo 2022. Anche l’Insurtech è trainato dal Nord Italia e Milano, dove hanno sede 41 realtà che hanno raccolto 31 milioni di euro nel 2022.

Un segnale positivo viene dai ricavi che, se nel 2021 erano mediamente inferiori rispetto al Fintech, nel 2022 sono cresciuti sensibilmente (+95% vs +70%), portando il settore a pari livello con il Fintech. In generale, le realtà Insurtech fanno più fatica a rivolgersi all’estero (il 61% ha un’offerta esclusivamente rivolta all’Italia) e hanno un legame meno forte con il Regno Unito (solo il 9% è attivo in UK), ma sono caratterizzate da un utilizzo maggiori di soluzioni di Artificial Intelligence (59% vs 46%), Analisi di Big data (55% vs 42%) e IoT (29% vs 13%). Simile al resto del Fintech è la distribuzione della tipologia di clientela, è composta per il 70% delle realtà da imprese, per il 63% da istituzioni finanziarie (principalmente compagnie assicurative e broker) e solo il 45% da privati.

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