34 bis: l’accesso ad Internet sia un diritto

In tempi di diffusione dell’innovazione la normativa, notoriamente, arranca. Gli aspetti legislativi vengono pressati dalla tecnologia in diverse ondate e costretti a coesistere con norme comunitarie e confronti internazionali.
C’è oggi necessità di esplicitare l’importanza di Internet con un intervento strutturale, non locale ma che emani in tutto l’ordinamento. Una delle proposte è di aggiungere un articolo, il 34 bis, alla parte prima della Costituzione italiana, subito dopo i principi fondamentali.

Questa aggiunta al Titolo II è stata adottata dall’onorevole Coppola come primo firmatario e tra gli altri da Boccadutri, Palmieri e Quintarelli con il nome Art. 34-bis[http://www.art34bis.it/], Accesso ad Internet come diritto sociale.

Il progetto prevede una proposta presentate separatamente ai due rami del parlamento: Senato della Repubblica, ddl. Cost. n. 1561 del 10 luglio 2014 e Camera dei Deputati, ddl. Cost. n. 2816 del 14 gennaio 2015.

Le domande da farsi sembrano essenzialmente tre: Internet è un diritto di tutti, e che tipo di diritto? In che parte del nostro ordinamento è opportuno inserirlo? Va affrontato come legge ordinaria o con una legge costituzionale?
Estensore della proposta di modifica costituzionale con l’aggiunta del 34bis è Guido D’Ippolito, dottore in giurisprudenza e responsabile per l’Innovazione digitale del Think Tank di giovani Cultura democratica, moderatore di “Internet come diritto sociale”, un evento informativo tenutosi alla Camera dei Deputati.

Non si tratta di Internet gratis

Il diritto all’accesso non va pensato come Internet gratuita, bensì come “diritto di tutti i cittadini a pari opportunità nell’uso di servizi di comunicazione elettronica ai fini del pieno e libero esercizio a condizioni non discriminatorie di tutti i diritti e le libertà costituzionali”, dice Guido Scorza, avvocato ed esperto di diritto digitale ma non costituzionalista, quindi molto vicino agli aspetti quotidiani delle norme.
Per chiarire il concetto di pari opportunità ci si può affidare ad un esempio. Il contratto non è presupposto al diritto alla sanità, anche se dei contratti possono agevolare il cittadino, che poi diventa utente.
Invece l’accesso ad Internet non può avvenire se non si è firmato un contratto: in rete siamo prima utenti e poi cittadini. La distinzione non è minima: essere prima utenti e poi cittadini rende privatistica la gestione di diritti che dovrebbero essere pubblici.

Il tipo di diritto

Oggi Internet non può essere tecnicamente inserita tra i diritti dell’uomo in senso stretto”, spiega Oreste Pollicino. Per farlo servirebbero due requisiti: la definizione attraverso trattati internazionali e un dispositivo di enforcement che permetta di agire. La prima c’è, ma il secondo no.
A parte gli aspetti formali ed emotivi, è comunque possibile renderla parte integrante dei diritti nazionali.

Titolo I o Titolo II?

La Parte prima della Costituzione, Diritti e Doveri dei cittadini (art. 13-54), è divisa in quattro Titoli. Il Titolo I si occupa dei rapporti civili, mentre il Titolo II è dedicato ai rapporti etico-sociali. La seconda domanda dipana il dubbio di collocazione di Internet, che persiste anche tra i legislatori.
Infatti una precedente proposta, che estenderebbe la libertà d’espressione, riguardava la modifica dell’art. 21, che si trova nel Titolo I.L’art. 34, al quale il 34bis s’ispirerebbe, si occupa del diritto allo studio. Si trova nel Titolo II, una sezione nella quale -a differenza del Titolo I- s’identificano diritti e doveri, specificando obbligo e debitore di ciascuna norma. Ecco perché è importante che Internet sia prevista nel Titolo II.

Legge ordinaria o legge costituzionale?

La legge ordinaria, tra l’altro, può subire modifiche successive sotto forma di deroghe che ne riducano l’efficacia. La legge costituzionale, invece, resta immutabile nella normale azione legislativa, ed è quindi preferibile.

Questa scelta non è stata finora privilegiata dai paesi che se ne sono occupati. In realtà, richiama Oreste Pollicino, professore in Diritto dell’informazione e Comunicazione all’università Bocconi. Solo la Grecia ha costituzionalizzato l’accesso ad Internet, mentre altrove si è agito a livello di interpretazione (Francia, Costarica). In altri casi l’approccio è mutuato dal “servizio universale”, comunque non costituzionale (Estonia, Finlandia, Spagna) e regolato in via comunitaria.

Va sempre ricordato l’Art. 1, comma 3 lettera A della direttiva 2002/21, dice Innocenzo Genna, giurista esperto in operatori alternativi e non-incumbent, che fissa cosa i singoli Stati possono fare in termini di Internet.

 

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