Una squadra vincente grazie al team building

Si tratta di un tipo di formazione “alternativa”, basata sull’apprendimento esperienziale Un buon metodo per aggregare a sé partner di canale e clienti

Acquisire competenze, rafforzare il senso di appartenenza a un’azienda, insegnare il comportamento adeguato nel lavoro in team. E tanto altro ancora. Tutto questo è possibile grazie al cosiddetto team building, nuova frontiera della formazione, che ha le sue basi teoriche nel lavoro di David Kolb, teorico dell’educazione americano noto per le sue ricerche sull’apprendimento esperienziale.

Ne abbiamo parlato con due aziende specializzate in team building quali Mind e Teamworking, entrambe con sede a Milano.
Mind, business unit del gruppo Alessandro Rosso, nasce nel 2005 per far fronte alla domanda di servizi di formazione aziendale “non convenzionali”, come li definisce Valerio Mugnai, director e Omt trainer di Mind: «Il problema del Team building in Italia è che le aziende confondono ancora le operazioni di incentive con quelle di formazione vera e propria, spesso viste solo come momenti di divertimento per rallegrare convention e meeting. In Mind ci avvaliamo dell’apporto di circa 80 tra facilitatori e formatori, che aiutano i partecipanti a rielaborare, in “auto ed etero-percezione”, le dinamiche che si instaurano nel gruppo. Il nostro metodo ludico/esperienziale si rifà alle premesse teoriche di David Kolb. La differenza la fa l’accordo con la committenza: fin da una prima chiacchierata informale, si capisce se lo scopo è ludico, oppure se ci sono idee chiare sulle competenze individuali cercate. La scelta del format dipende da numero e tipo dei partecipanti: la cucina è un format universale, ad esempio, indicato sia per 20 che per 200 persone, mentre quello del cinema pone vincoli come la post-produzione e i costumi. Un orienteering a contatto con la natura è pure consigliabile per comitive ristrette. A cambiare sono la vestizione dell’esperienza e la profondità della rielaborazione, a seconda delle competenze su cui si lavora, ad esempio di leadership, di gestione risorse umane o di problem solving: in quest’ultimo caso, nel format della cucina faremo mancare degli ingredienti che andranno reperiti, mentre l’idea della cucina povera punta all’organizzazione degli sprechi».

Quanto a Teamworking è una società fondata da Giovanni Gambardella con esperienza quasi decennale nella formazione, sia in aula che esperienziale.
«La sensibilità delle imprese verso il team building – racconta Gambardella – è in decisa crescita: si tratta di attività il cui scopo, a differenza di congressi e incentive, è imparare a lavorare insieme. L’investimento si fa spesso sulle prime linee aziendali e vi fanno ricorso le imprese più disparate, per lo più di alto profilo. Dato lo scopo formativo, nel team building è fondamentale la presenza di formatori esperti che aiutino i partecipanti ad approfondire il significato di quello che si fa: nel gioco come nel lavoro, le persone tendono a ripetersi, comportandosi secondo certi schemi mentali. Chiedersi “cosa accadrebbe se fosse così anche in azienda?” pone l’attenzione su vantaggi e significati che possono essere portati anche a casa, perché se un comportamento funziona nel gioco, funzionerà pure in ufficio. Inoltre, in un innocuo contesto ludico non si fatica a riprendere qualcuno che gioca scorrettamente, correggendo così comportamenti errati, mentre sul lavoro scattano subito mille difese».

Per quanto riguarda i momenti più opportuni per ricorre a questo genere di attività, secondo Mind, ciò dipende dal target: per la forza vendita si interviene prima di un progetto importante, lavorando sull’appartenenza al brand, mentre per i manager il team building diventa una vera e propria “pillola di giovinezza”, a cui è consigliabile un ricorso continuo e ripetuto.

«Sì, perché la mente umana – spiega Mugnai – ha tanta facilità di apprendimento quanto veloce è la tendenza a dimenticare ciò che ha appreso, se non si ovvia con interventi formativi dilazionati durante l’anno».

Per Teamworking, i momenti più significativi per farvi ricorso sono le fusioni tra aziende, quando si vuole entrare in un nuovo mercato, in caso di cambi di sede o di management, e poi… i momenti di crisi, anche se «sono pochi quelli che riescono in tali frangenti a mettere da parte l’emergenza per investire sul team. Più spesso capita – precisa Gambardella – che le aziende chiedano di aggiungere momenti ludici all’interno di congressi e altri eventi».
E arriviamo al tema dei costi.
«È difficile parlare di questo – precisa Gambardella -. Per un evento a scopo formativo, numero ideale sulle 25 persone, della durata di 2/4 giornate, il costo va dai 3.000 euro in su, a seconda poi del tipo di evento e delle sicurezze che si attivano».

Intanto il team building guarda in avanti: il variare della composizione dei team, con ruoli e posizioni che mutano di continuo, rende le aziende un mondo assai dinamico dove non manca mai materiale su cui è opportuno lavorare. «La nuova frontiera del team building su cui puntiamo – conclude Mugnai – è il sociale: sei anni fa proponemmo a un’azienda, per un viaggio incentive in Kenya, un’attività emozionale con sfondo sociale, ossia la costruzione di una scuola per una comunità tra Mombasa e Malindi. L’obiettivo era far sentire i partecipanti capaci di dare, oltre che di ricevere. Tre anni fa abbiamo invece costruito un campo da calcio per i bambini della Favela Rocinha, in Brasile. Ora il nuovo trend, per cui stiamo definendo accordi con alcune onlus, è quello dell’ambiente: l’idea è di portare formazione non più con una sfida lanciata all’individuo dalla natura, ma in un’attività a suo supporto».

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