Una scelta strategica, non solo votata al risparmio

La decisione di puntare sull’esternalizzazione di una o più attività aziendali dovrebbe essere dettata dal desiderio di migliorare i livelli di efficienza e di competitività dell’impresa. Da Meta Group i consigli per non partire con il piede sbagliato e per stipulare contratti ad hoc

Anche se oggi è la più diffusa, quella di un possibile
risparmio economico non dovrebbe essere la motivazione primaria a spingere
un’azienda a puntare sull’outsourcing.  L’esternalizzazione di una o più
attività dovrebbe invece essere uno dei punti cardine di una vera e propria
strategia di business, che mira a migliorare i livelli di efficienza e di
competitività dell’impresa.


È questo, in sintesi, il modo con cui Diego Lo Giudice, direttore consulting
per l’Italia di Meta Group, ha tratteggiato le motivazioni che dovrebbero
portare ad avviare una produttiva ed efficace partnership con una società di
outsourcing. Lo Giudice ha sottolineato più volte, e sempre in tono molto
marcato, come «la strategia di business deve assolutamente essere il punto di
partenza». E l’esternalizzazione non deve essere guidata principalmente (o
addirittura esclusivamente) dalla riduzione dei costi ma da una generale
ottimizzazione della modalità operativa, che consenta all’impresa di
concentrarsi al meglio sul core business.


Tale concetto, ha precisato Lo Giudice, potrebbe essere tradotto
«nell’opportunità di migliorare i livelli di servizio, poter accedere
velocemente a nuove competenze, poter arrivare più velocemente sul mercato con
nuovi prodotti o proposte e trasformare da fisso in variabile un insieme
rilevante di costi».


Dopo quelle amministrative, le funzioni aziendali che meglio si prestano a
essere cedute in outsourcing sono quelle legate alla divisione Information
Technology. Sono infatti quelle che più beneficiano della disponibilità di nuovi
skill e della possibilità di avere tecnologie sempre attuali. Tuttavia, prima di
intraprendere la via dell’esternalizzazione, è necessario cercare di capire
l’attitudine del proprio personale It a gestire in modo differente il proprio
lavoro o ad apprendere una nuova modalità operativa. L’impatto potrebbe essere
deleterio e sortire risultati opposti da quelli sperati. «Diventa in questo
senso essenziale – ha affermato Lo Giudice – che la scelta della strategia da
seguire non sia puramente manageriale, ma coinvolga sin da subito i diretti
interessati, coloro che poi opereranno in prima persona». In questo modo si
eviteranno problemi derivanti da un possibile rifiuto dei responsabili It che si
trovano a operare con strumenti per loro inefficaci o di scarsa utilità,
all’interno di un progetto che non hanno voluto, di cui non sanno nulla dei
potenziali sviluppi e di cui conoscono a malapena gli obiettivi.


In altre parole, da un punto di vista interno all’azienda, devolvere
all’esterno alcune funzioni del dipartimento Information Technology dovrebbe
voler dire puntare prima di tutto alla customer satisfaction del personale It,
risultato che si può ottenere avendo ben chiare le attitudini e la cultura di
tale personale.


Un altro ostacolo alla buona riuscita di un’attività di outsourcing, ha
evidenziato Lo Giudice, «è la spesa It, fattore sovente sottovalutato. Molto
spesso, infatti, le società non hanno ben chiaro quanto in realtà sia la spesa
legata alla divisione sistemi informativi». Alcune volte, a causa della
frammentazione della struttura, non ne hanno nemmeno un’idea orientativa.
Risulta quindi difficile stabilire se puntare sull’outsourcing sia poi davvero
conveniente.

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