Umts: convergenza difficile, ma scontata

Aste da capogiro, ritardi inaspettati e infrastrutture che sembrano non funzionare. È proprio questa la fine del sogno di “terza generazione”?

 


Sopravvalutato nelle capacità e sottovalutato nei
costi, ecco l’immagine dell’Umts (Universal Mobile Telecommunications System)
che abbiamo leggendo la stampa negli ultimi mesi, ben diversa dal plauso corale
di fine 2000. Ma cos’è cambiato? Possibile che l’imbarazzo che ha concluso
l’assegnazione delle principali licenze in Europa fosse imprevisto? Il mancato
lancio del servizio in Giappone, sembra indicare che le sorprese non sono
finite, nonostante le rassicurazioni di DoCoMo che sarà pronta per ottobre. E
che dire dell’alleanza che quest’ultima ha siglato con Kpn e Tim per esportare
I-mode nel nostro continente?


Sembra evidente che lo sgonfiamento della bolla
speculativa che ha circondato la cosiddetta New Economy, unito all’atteso
rallentamento dell’economia statunitense, stia toccando anche il comparto della
telefonia mobile e tutto il mondo che ruota attorno alla convergenza dei vari
mercati digitali: informatica, telecomunicazioni e media.


I primi effetti si notano nella frenata delle
vendite sui telefonini e nelle profonde ristrutturazioni che questa ha innescato
in tutti i principali fornitori, con la sola eccezione di Nokia. Ora i governi
parlano di agevolare la diffusione delle nuove infrastrutture permettendo
partnership “limitate” tra i diversi concorrenti. Si punta soprattutto a ridurre
il numero di siti per l’installazione delle antenne (molto più numerose
nell’Umts che nel Gsm).


D’altro canto, la scelta del sistema d’asta non
lasciava dubbi su quale sarebbe stato l’esito. Ken Binmore, professore
dell’University College di Londra, lo ha progettato con due scopi dichiarati:
favorire la piena trasparenza del processo e portare i massimi benefici
all’erario. Nessuno, nemmeno Binmore, aveva previsto che il governo inglese
avrebbe racimolato 22,48 miliardi di sterline (pari a 75mila miliardi di lire)
ossia dieci volte più della cifra originariamente stimata. E che la Germania lo
avrebbe seguito con 98,8 miliardi di marchi.


Un sistema simile era già stato utilizzato nel 1996
dalla Fcc (Federal Communications Commission) statunitense per concedere alcune
licenze locali. NextWave se ne aggiudicò 90 al termine di un’asta senza
esclusione di colpi e, dopo solo due anni, dichiarò fallimento, lasciando alla
Fcc l’onere di recuperare le frequenze inutilizzate attraverso estenuanti
procedimenti giudiziari.


In Italia la suddivisione del processo in due fasi,
con un “beauty contest” iniziale  basato su parametri di qualità del
progetto, ha stemperato gli effetti portando 5 licenze da circa 4.700 miliardi
ciascuna e parecchie di polemiche.


Ora il problema è come evitare il tracollo senza
perdere la faccia? Prendere tempo e chiedere prestiti, anche agli stessi
fornitori d’infrastrutture. Ericsson e Nokia, hanno già aperto le proprie casse
a parecchi operatori “bisognosi” e lo slittamento al 2002 è ormai assodato per
tutti. Solo DoCoMo fa eccezione, poiché deve attivare l’Umts al più presto
possibile avendo già saturato da mesi la capacità della propria rete attuale,
anche grazie al successo del servizio I-mode.


Tra l’altro la composizione a celle piccole e fitte
delle reti mobili di terza generazione è particolarmente congeniale al Giappone
dove la densità di popolazione è molto maggiore di quella europea. Prepariamoci,
quindi, a convivere con il triste WAP ancora per un po’ di tempo e guardiamo a
Est per capire il nostro futuro “mobile”.

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