Più concreti e creativi, così devono cambiare i consulenti aziendali

Una ricerca Bocconi/Ernst&Young mette a fuoco i limiti e le potenzialità dei professionisti esterni nelle attuali trasformazioni di mercato

Quando bisogna tagliare le spese, una delle prime voci cui pensano le aziende è quella delle consulenze; tanto più durante la crisi economica internazionale del 2008-2009. E soprattutto in Italia, che spesso guarda alle attività dei consulenti esterni con una certa diffidenza, in parte per l’alone di caratteristiche negative (clientelismo e corruzione in primis) che li circonda nel mondo della politica. Eppure, la consulenza è un “male” necessario in moltissime occasioni: con le trasformazioni in corso nei vari mercati, le imprese devono padroneggiare competenze finora sconosciute o sottovalutate. Una ricerca EntER Bocconi, in collaborazione con Ernst&Young, ha indagato i rapporti d’amore e odio tra imprenditori e consulenti, su un campione di quasi quattromila aziende italiane di tre settori (media, telecomunicazioni e trasporti).

Come cambia il mercato
Che cosa è cambiato nel periodo 2005-2009 in questi rapporti? Hanno perso terreno i consulenti di direzione per le strategie interne e la gestione delle risorse umane, mentre quelli legali, finanziari e informatici hanno tenuto di più il passo con le nuove richieste delle aziende. Inoltre, la maggiore attenzione alla qualità dei servizi offerti ha incrementato la competizione tra le società di consulenza; così il manico del coltello è passato da queste ultime alle imprese, da un mercato “del venditore” tipico degli anni 80, come ha spiegato Ferdinando Pennarola (EntER Bocconi) a un mercato più maturo. Il professionista esterno deve dimostrare costantemente le sue capacità e garantire risultati, con un margine di trattativa molto ridotto sui compensi (tariffe giornaliere o “a corpo” rispetto ai “premium fees”, superiori alla media del mercato per premiare gli obiettivi raggiunti, riduzione dei budget complessivi).

I rischi da evitare
Ai consulenti si chiede innanzitutto di essere pragmatici: condurre un progetto dall’inizio alla fine, senza saltare da una sponda all’altra perdendo di vista il problema iniziale. Di ciò è convinto Aldo Papa, direttore generale di Autogrill Italia, sostenendo inoltre che “la consulenza può creare dipendenza”, in altri termini un appiattimento della creatività aziendale. Un rischio certamente da evitare, perché Autogrill deve aumentare la soddisfazione e la fiducia dei clienti, pensando continuamente a nuovi modelli di business, che siano i panini con prodotti gastronomici d’alta qualità, o un’offerta sempre più ampia che spazia dai generi alimentari all’intrattenimento. Perciò, “un buon consulente deve aiutare l’azienda a distruggere il suo successo passato, per costruire quello futuro”, ha aggiunto Papa.

Troppa frammentazione
Secondo Massimo Bartolini, amministratore delegato dell’omonima società di trasporto, il professionista esterno è indispensabile per la crescita aziendale. Bartolini, grazie alla consulenza di esperti in tecnologie informatiche, è riuscita a sviluppare un sistema di gestione più complesso per i trasporti e i servizi logistici, superando la logica “stand alone” in cui si tratta ogni ordine in maniera indipendente. La frammentazione del tessuto imprenditoriale italiano è un’altra causa della diffidenza verso i consulenti; Bartolini ha ricordato che nel nostro Paese ci sono circa 250mila partite Iva nel settore dei trasporti (contro le cinquemila in Francia o Germania). La piccola dimensione delle aziende, quindi, è spesso un freno a tutte quelle operazioni necessarie per conquistare nuove quote di mercato: fusioni e acquisizioni, partnership, alleanze, sopperendo all’assenza interna di certe competenze con i consulenti e lavorando in squadra, come ha spiegato Umberto De Julio, presidente Italtel.

Il terremoto nell’editoria
La pensa così anche Roberto Briglia, direttore editoriale del Gruppo Mondadori, evidenziando il “terremoto” che sta scuotendo l’industria dell’editoria, dove bisogna passare dal concetto di “lettore” a quello di “cliente”, offrendo non solo contenuti ma anche servizi. Il terremoto è la rivoluzione digitale, basti pensare ai libri elettronici che in Italia rappresentano meno dell’uno per cento del mercato, ma negli Stati Uniti dovrebbero salire al 20-25% nei prossimi tre o quattro anni. Allora bisogna puntare alla multimedialità, anche se, avverte Briglia, la tecnologia digitale non è un servizio come la tipografia dei vecchi editori, ma un vero e proprio contenuto. I consulenti dovrebbero quindi favorire queste trasformazioni, anche nell’organizzazione interna delle redazioni, che riflettono un modello arcaico degli anni 50 (la struttura tradizionale dalla direzione ai redattori, passando per le varie figure intermedie). Così la consulenza può essere a sua volta una scossa di terremoto, a patto di saper convivere con i danni immediati e sfruttarli per creare qualcosa di nuovo.

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