Pa ed e-commerce, il tempo stringe per il changeover

Proseguiamo nell’analisi dei mutamenti che l’avvento della moneta unica produrrà sul futuro delle Pmi. Cerchiamo, in particolare, di capire come cambieranno i rapporti con la Pubblica amministrazione e con i fornitori.

A far data dal 1° gennaio 2002 tutte le imprese dovranno aver compiuto la conversione per i loro scambi con l’amministrazione fiscale e gli organismi sociali. È certo che, se per tale data, un’azienda non sarà pronta al passaggio all’euro, si troverà in gravi difficoltà. Sarà costretta a ricorrere a procedure manuali finché non avrà modificato i propri sistemi informativi, a meno che non possa riutilizzare i sistemi esistenti. Se non è programmata con largo anticipo, questa soluzione può risultare rischiosa. Se un’impresa non può operare manualmente (come può essere il caso per le aziende molto piccole) o riutilizzare i sistemi informativi esistenti, non potrà continuare la sua attività.

Certe operazioni devono essere effettuate in euro, senza che le banche possano fornire alcun aiuto, come nel caso delle dichiarazioni Iva. Nella maggior parte dei paesi, a partire dal 1° gennaio 2002, sarà obbligatoria la gestione in euro della contabilità interna, utilizzata come base per i rendiconti finanziari. Se tale obbligo non sarà rispettato, le autorità potranno rifiutare i rendiconti, le dichiarazioni Iva e le altre dichiarazioni fiscali. Di conseguenza le imprese rischieranno sanzioni per ritardi nella presentazione.

Le date della conversione per le Pubbliche amministrazioni


I servizi pubblici si sono preparati a questo passo già da diversi mesi. A partire dal gennaio 1999, le aziende hanno la possibilità di pagare in euro le loro imposte, tasse o contributi sociali. Possono in questo modo effettuare le loro dichiarazioni fiscali nella nuova moneta, ma alla condizione di tenere anche la contabilità in euro. Le amministrazioni locali svolgono un ruolo di coordinamento e di comunicazione ma anche di esortazione del passaggio all’euro presso le aziende.

Una recente inchiesta ha evidenziato che solamente lo 0,56% delle Pmi da 10 a 49 dipendenti ha fatto la propria dichiarazione in euro nel dicembre 2000.
Oltre ad assumere un ruolo guida, volto a rendere più facile e meno onerosa la scelta dell’adozione dell’euro da parte di cittadini fin dall’inizio della fase transitoria, l’Amministrazione deve assicurare la possibilità di utilizzare l’euro nei pagamenti nei propri confronti. Ma all’Amministrazione bisogna richiedere pagamenti in euro e deve essere utilizzato l’euro nelle comunicazioni intra-amministrazioni. Per quanto concerne il bilancio e gli altri provvedimenti di natura contabile, per le entrate e per le uscite, le Amministrazioni pubbliche adotteranno l’euro soltanto a partire dal 1° gennaio 2002; questo significa che per tutto il periodo transitorio le Amministrazioni pubbliche per la contabilità di bilancio utilizzeranno esclusivamente la lira, sebbene alcuni documenti ufficiali, per voci particolarmente significative, già contengano accanto all’ammontare in lire i corrispondenti valori in euro.

Rapporto con la catena del valore


Le imprese dovranno convertire in euro tutti i contratti in corso con clienti o fornitori e conclusi originariamente in moneta nazionale. La conversione dovrà essere effettuata utilizzando il tasso a sei cifre significative fissato per la valuta di ciascun paese. Le imprese dovranno pagare i creditori in euro. Se emetteranno un ordine di pagamento in moneta nazionale, la banca, ammesso che non lo rifiuti, non sarà in grado di effettuare il pagamento con tale valuta.
L’azienda che non avrà effettuato il passaggio all’euro avrà difficoltà a far corrispondere le registrazioni delle somme effettivamente versate ai creditori con le somme che questi dichiarano di aver ricevuto ma anche con quelle ricevute dai debitori. Questo perché le transazioni saranno convertite in euro dalle banche. Dato che nella conversione di ogni transazione ci saranno differenze di arrotondamento, l’impresa, non avendo effettuato i calcoli direttamente, avrà difficoltà a individuare tali differenze.

Per far corrispondere le entrate e le uscite espresse in euro con le registrazioni in moneta nazionale, occorrerà all’impresa più tempo di quello che avrebbe richiesto la conversione dei propri sistemi. Ciò farà ovviamente lievitare i costi e perdere tempo prezioso nella gestione delle attività. I problemi di corrispondenza saranno ulteriormente complicati se l’impresa riceve numerosi pagamenti di importi simili e se la moneta nazionale, come nel caso della lira, non ha decimali. È molto probabile che quest’impresa abbia problemi anche con l’amministrazione fiscale e con i revisori dei conti. L’amministrazione fiscale vorrà infatti verificare la situazione dell’azienda e l’esattezza delle registrazioni Iva. Queste ultima se tenute in una valuta priva d’esistenza legale saranno giudicate inaccettabili e rifiutate. I revisori dei conti vorranno assicurarsi che i rendiconti finanziari dell’impresa corrispondano alla reale situazione finanziaria. Anche la posizione creditizia potrebbe trovarsi indebolita.
Contrariamente a quanto accade nel mondo bancario e industriale, nel settore del commercio, alcune tendenze collettive non stanno agendo per promuovere una conversione anticipata dei partner. Per semplificare la conversione tecnica delle terze parti, i commercianti si sono accordati con le banche e hanno definito le regole per la registrazione delle transazioni delle carte di credito e con i loro fornitori, precisando le modalità di lettura dell’importo indicato nel codice a barre Edi degli ordini o delle fatture.
Nessun calendario è ancora stato definito, ma sarà sufficiente essere pronti il 31 dicembre 2001.

Per chi fa commercio elettronico


Il 1° gennaio 2002 i siti di commercio elettronico saranno costretti a procedere con la doppia visualizzazione del prezzo in lire e in euro. A partire dal 18 febbraio del prossimo anno i prezzi in euro saranno obbligatori. Secondo Ernst & Young si tratta di due date che non rappresentano tecnologicamente un cambiamento di lavoro importante. Il problema principale consiste nell’integrare un convertitore nel sistema informativo e nell’assicurare che il sito sia capace di accettare le transazioni in euro. Contrariamente a un’azienda brick and mortar, un sito di commercio elettronico può già familiarizzare la sua clientela con l’euro senza che questo rappresenti un carico di lavoro importante: una semplice regola di calcolo è alla portata di un qualsiasi database e quindi di un qualsiasi sito transazionale.

Secondo le ultime stime, il mercato del commercio elettronico valeva in Europa 680 milioni di euro nel ’98 che diventeranno 2,8 miliardi a fine del 2001, con un incremento di più del 300 per cento. L’entrata in vigore sin dal 1° gennaio di quest’anno dell’euro come valuta a tutti gli effetti valida per i pagamenti senza scambi di contante avrà sicuramente un effetto di accelerazione anche per gli scambi commerciali via internet. L’esposizione dei prezzi della doppia valuta, almeno per le pagine web dei paesi dell’Unione monetaria, comporterà per i navigatori la possibilità di confrontare rapidamente la convenienza nell’acquisto dello stesso bene/servizio in una nazione piuttosto che in un’altra. E questo sarà immediatamente vero per quella parte del commercio elettronico che coinvolge le aziende e i loro fornitori o i clienti prima che i consumatori finali.

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