Migrare al VOIP senza buttare quanto c’è già

Implementare l’IP telephony si traduce spesso in un problema di integrazione con l’installato E si riapre il dibattito sugli standard

Tutte le aziende utilizzano un centralino, grande o piccolo che sia, e in genere con soddisfazione: sono apparati che durano a lungo e fanno bene il loro lavoro, quello di far parlare le persone. Difficile, dunque, che ci sia la voglia (e i soldi), di buttare via tutto e ripartire da capo con un nuovo acquisto. La via più battuta è quella dell’integrazione con l’esistente, ovvero un PBX in tecnologia TDM, o magari più d’uno, con l’obiettivo di aumentare la gamma di funzionalità e ridurre i costi telefonici.


È quanto emerso da un dibattito fra esperti del settore nell’evento organizzato da NetEvents lo scorso settembre.


"I nostri clienti – ha confermato Roger Jones, convergence business development director di Avaya -, che sono aziende medio grandi, non ci chiedono mai di eliminare il centralino esistente e sostituirlo, ma di fornire dei front end per i PBX tradizionali per collegarli al nuovo IP PBX. E le dimensioni di quest’ultimo dipendono dalle funzionalità che il cliente sta cercando. Per esempio, abbiamo avuto di recente molte richieste di soluzioni di mobilità da aggiungere al centralino esistente, ovvero i soft phone, per persone che lavorano a casa: utilizziamo un piccolo IP PBX come front end per offrire questa funzionalità. Un’altra situazione che vediamo spesso è quella di aziende che si trovano ad avere diversi uffici in grandi città, come Londra o New York, a causa di una crescita tramite acquisizioni, oppure per aver occupato nel tempo molte piccole sedi. Quando decidono di consolidare questi spazi e si spostano in un nuovo quartier generale, vi installano un IP PBX e lo collegano ai centralini TDM installati negli uffici periferici, facendo lentamente migrare gli utenti verso la nuova tecnologia".

La compatibilità fra vendor diversi non è assicurata


Se la migrazione morbida verso l’IP non crea problemi restando nel circolo dei prodotti di un medesimo vendor, non è così quando i fornitori sono diversi.


"Una delle principali preoccupazioni delle organizzazioni è l’interoperabilità – ha affermato Michael Shephard, general manager Emea di Net.com, una società statunitense che deve la propria fama all’aver venduto a Microsoft la propria soluzione di gateway che consente di abilitare all’IP centralini di diversi vendor, sparsi nelle varie sedi -. Capita che aziende che hanno scelto, in passato, di affidarsi a un unico vendor, acquisiscono altre società che utilizzano differenti tecnologie e, volendo passare all’IP, scoprono che questi dispositivi non riescono a comunicare bene fra di loro. Per questo, l’approccio di Net.com è quello di fornire un gateway fra i dispositivi TDM e l’infrastruttura IP, per consentire alle persone di interoperare e di migrare al ritmo che desiderano. Questo è un problema che esiste anche fra i carrier che offrono soluzioni hosted".


Secondo Shephard, in altre parole, un centralino supponiamo di Mitel upgradato all’IP dallo stesso vendor potrebbe non comunicare bene con un apparato analogo di Alcatel, sempre per citare due fornitori a caso. Tutto ciò, in definitiva, limita la libertà nello sviluppo di applicazioni, che sono poi l’elemento chiave per rendere la soluzione IP vantaggiosa e in grado di dare all’azienda che la sceglie dei concreti vantaggi, aderenti al proprio business model. "Una piattaforma standard oggi non esiste, purtroppo – ha ripreso Shephard".


In realtà, già da qualche anno abbiamo il protocollo SIP (Session initiation protocol), considerato da molti il collante dell’IP telephony, lo standard vincente in questo settore. Non a caso, start up come Zultys supportano unicamente SIP, sostenendo che non esiste più ragione per valutare altre opzioni.

SIP e gli altri protocolli. Una convivenza forzata


Ma non tutti sono d’accordo con questo approccio. Innanzitutto, di SIP esistono varie sfumature, a seconda del vendor, che possono limitare le funzionalità di gestione delle chiamate disponibili.


Inoltre, è un fatto che, soprattutto in Europa, c’è una consistente base installata di apparati a standard H.323, che non va dimenticata. E per completare il quadro vanno citati anche MGCP, un protocollo utilizzato prevalentemente dai carrier, e H.248, molto simile al precedente.


"Basta pensare – ha specificato Jones di Avaya – che su sette milioni di linee IP vendute a livello mondiale nel mese di agosto, solo 3 o 4 sono SIP. Non si può certo dire che H.323 è morto. In molti casi, per esempio nei call center, il protocollo SIP non offre sufficienti funzionalità".


Certamente il dibattito sugli standard non è molto costruttivo e ci rimanda indietro nel tempo, quando i produttori si facevano concorrenza su questo terreno, a danno dei clienti.


"La guerra dei protocolli è finita – ha affermato Andy Huckridge di Spirent, società specializzata nel testing -. La ragione per cui ci si è spostati su SIP è che non si riusciva a implementare alcuni servizi supplementari, e bisognò pensare le cose in un modo diverso. SIP è la via per andare avanti".


Un chiaro invito, dunque, a non aprire inutili guerre di religione.

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