Le Soa, un viaggio a tappe per innovare l’infrastruttura

L’approccio alle Service oriented architecture va visto come un percorso che può durare 4 o 5 anni, fatto di progetti che vanno da 12 a 18 mesi e che consentono di ottenere risultati tangibili

Cresce il fermento attorno alle Soa (Service oriented architecture), sia da parte delle aziende che dei vendor. Di recente, Ibm ha riaffermato il suo impegno in quest’ambito, annunciando l’apertura di due nuovi centri Soa, uno a Pechino (Cina) e l’altro a Pune (India).


Da qui lo spunto per approfondire come sta andando il mercato in Italia con Francesco Angeleri, vice president Ibm Software Group Italia.


«Rispetto a un anno fa, – osserva il manager – il mercato sta accelerando e le Soa più che un obiettivo, oggi devono essere viste come un viaggio che le aziende intraprendono per cambiare la propria infrastruttura. Infatti, sono tra le priorità dei Cio, soprattutto presso le aziende medio-grandi. Nel complesso, oggi c’è una maggior maturità di comprensione del mercato verso le Soa, anche se su questo fronte l’Italia è stata più lenta di altre nazioni, in quanto secondo me è stata frenata dall’intrinseca struttura del patrimonio applicativo e informativo presente nelle aziende. Quello delle Soa, comunque, una volta compresa la validità del concetto tecnologico, è un percorso che può durare 4 o 5 anni, con tappe però da 12 a 18 mesi, che consentono di ottenere risultati immediati e tangibili».


Su quali ambiti si stanno concentrando i progetti delle aziende interessate alle Soa?


«Uno dei primi è quello ben noto dell’integrazione, in quanto le Soa sono il fattore abilitante che permette di realizzarla. E questo approccio nasce da un’esigenza di business estremamente chiara, che è quella di avere un’infrastrutture It facilmente riconfigurabile per rispondere in modo agile e veloce alle esigenze in continua evoluzione dell’azienda, in quanto, ormai, sulla spinta di un’accresciuta competizione, il time to market si è ridotto a giorni, se non a ore. E oggi, con le Soa, è possibile raggiungerlo, in quanto permettono di prendere gli oggetti software, che erano monolitici, e di divederli in tanti elementi, che sono le unità di servizio, affinché siano utilizzabili da tutte le componenti del sistema informativo».


Ma il rischio è che si proceda a una eccessiva frammentazione, che alla fine ripresenta gli stessi problemi che si avevano con la personalizzazione delle soluzioni.


«In effetti, uno dei grandi rischi della Soa è quello di definire in modo troppo granulare la nuova architettura basata sui servizi. Infatti, molti progetti Soa sono falliti perché, molto banalmente, ogni dipartimento ha definito un eccessivo numero di servizi di base, ricreando in questo modo un effetto “silos”, per cui alla fine si rischia di ottenere una enorme duplicazione di servizi che poi non si riesce in alcun modo a mettere a fattor comune».


Che cosa fa Ibm per evitare questo problema?


«Nell’affrontare i progetti Soa, usiamo una metodologia che si basa su tutte le esperienze che abbiamo maturato a livello mondiale. Il valore aggiunto che portiamo in Italia è quello di essere in grado di creare delle soluzioni già personalizzate e costruite per il mercato nazionale. Per fare un esempio, una classica funzione Soa è quella dell’estratto conto. Noi abbiamo costruito per i nostri clienti una serie di servizi riusabili, che abbiamo affinato nel tempo, che costituiscono un patrimonio di “mattoncini” software che possono essere scelti e utilizzati nell’ambito di specifiche soluzioni. Per cui, mentre 10 anni fa il programmatore era pagato per quante linee di codice scriveva, oggi viene pagato per quanti servizi Soa va a utilizzare e quindi quanto meno software utilizza, in quanto dobbiamo ottenere il maggior numero di servizi riusabili all’interno del sistema informativo. Il concetto è un po’ simile a quello della costruzione delle case, per le quali oggi sempre più si utilizzano dei moduli prefabbricati che poi vengono adattati tra loro, e quindi consentono di costruire velocemente i palazzi. Il concetto del riuso di oggetti in informatica non è nuovo, ma il grande passo avanti che è stato fatto è che oggi abbiamo costruito l’architettura e gli strumenti per poterlo realizzare».


Tutto questo, secondo quanto si va affermando, consente di ridurre i prezzi, in quanto parliamo di industrializzazione delle applicazioni, che porta aziende come la vostra a creare centri in paesi a basso costo come Cina e India. Ma, alla fine, sono reali i vantaggi economici?


«Per quanto ci riguarda sì, perché è evidente che poter contare su centri e competenze sparsi nel mondo, tra cui anche l’Italia, permette di creare una “fabbrica virtuale” che ci consente di avere i “servizi” pronti in tempi più rapidi di prima e a costi contenuti, grazie a una struttura di più di 5.000 specialisti che lavorano su questo fronte».


È vero che si può procedere per step nell’implementare le Soa, ma se l’azienda non ha un middleware in grado di fornire dati aggiornati e uniformi, applicazioni integrate, registry dei servizi e via dicendo, non ha senso intraprendere questa strada.


«In effetti, su questo fronte, c’è sotto un lavoro enorme che l’azienda deve avviare e la cui portata non voglio sminuire. Le realtà che decidono di iniziare il percorso delle Soa, si rendono conto che devono fare ordine e pulizia sui dati e soprattutto devono aprire i propri “silos” applicativi di solito datati e stratificati nel tempo. Noi oggi mettiamo loro a disposizione gli strumenti che permettono di aprire l’applicazione, di conservarne quello che ne è il cuore, e di circondarla di tutti quei servizi software che le consentono di interagire con il resto dell’azienda. Bisogna, quindi, aver la capacità di progettare un’infrastruttura che sia costituita da tutta una serie di mattoni di middleware che permettono di raggiungere questo obiettivo. Infatti, quello che rende abilitante tutto questo è il middleware che c’è sotto».


Ma per avviare il forte cambiamento che l’approccio Soa comporta, ci vuole anche un forte commitment del top management.


«I punti di ingresso per la Soa sono più di uno e possono avvenire dalla parte del business o da quello dell’It. Nel primo caso è l’azienda che si rende conto che l’infrastruttura It deve diventare un fattore abilitante del cambiamento, per cui essa stessa procede alla rivisitazione dei processi, che molte volte non vuol dire necessariamente cambiamento dei medesimi, ma consapevolezza, analisi e visualizzazione delle dinamiche interne, per arrivare a definire come sono organizzati i suoi processi di business. Si arriva, in definitiva, a scoprire quali sono i workflow che supportano quei processi e dietro ancora quali sono gli application server che permettono che questi processi accadano. Quindi, la cosa più naturale è partire dai processi, rivisitarli, andare a modellarli e poi definire quali sono gli application server coinvolti. Questo è un approccio top down, dunque estremamente chiaro, che coinvolge il top managemet e i responsabili delle singole linee di business, che vedono nell’It uno strumento di flessibilità. In altre situazioni, invece, è il Cio che tende a stimolare il top management ad affrontare queste tematiche, che gli garantiscono integrazione e unità della sua struttura, nonché una maggior agilità nel rispondere alle diverse esigenze dell’azienda. In realtà, è dall’incontro di queste due influenze reciproche che i progetti si vanno a posizionare, in quanto una Soa non è solo un cambiamento dell’It ma di tutta l’azienda».


Quali consigli si possono dunque dare al Cio?


«Innanzitutto deve conoscere tutti i processi di business della sua azienda, in quanto in quelle realtà in cui l’It è riconosciuta come un elemento abilitante il business, il Cio diventa l’interlocutore primario per avviare le Soa e fa dell’It un centro di innovazione. In suo aiuto Ibm può portare la metodologia Soa WebSphere Workshop, che tra l’altro permette di fare, in circa una settimana, dipende dalla grandezza dell’azienda, un mini assessment che valuta quanto un’azienda è matura per il modello Soa, per cui un Cio ha subito un quadro per capire a quale stadio del percorso si trova e quali mosse deve fare. E dalle richieste che abbiamo in questo momento, debbo dire che il servizio è molto apprezzato».

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