In Italia un terzo dei large account adotta l’open source

L’open source si sta veramente diffondendo tra le aziende italiane, oppure non si fa altro che parlarne nei convegni? Abbiamo girato questa nostra domanda ad Annamaria Di Ruscio, direttore generale di NetConsulting. La risposta è stata moderatamente po …

L’open source si sta veramente diffondendo tra le aziende italiane, oppure non si fa altro che parlarne nei convegni?

Abbiamo girato questa nostra domanda ad Annamaria Di Ruscio, direttore generale di NetConsulting. La risposta è stata moderatamente positiva.

«Da un’indagine da noi condotta nella prima metà del 2007 su 100 large account e 400 medie imprese italiane, emerge che per questo campione il software open source rappresenta il 7% della spesa It. Nel 2005 la percentuale era del 5% e tra 2 anni prevediamo che si arriverà al 10%. È perciò un fenomeno in rapida crescita. I volumi attuali a prima vista potrebbero sembrare bassi, visto la popolarità di questo tema, ma si tratta di una impressione sbagliata perché bisogna considerare che molti di questi software sono gratuiti o di basso prezzo. A riprova di ciò, se vediamo la cosa dal punto di vista dei volumi, la nostra indagine rileva che il 31% dei large account ha soluzioni open source, percentuale che scende al 25% (valore comunque significativo) per le medie imprese». Non bisogna, però, esagerare nell’enfatizzare il fenomeno.

«Nonostante i rapidi tassi di crescita che rileviamo, non prevediamo che il fenomeno open source sia destinato a sconvolgere il panorama informatico italiano. Più probabilmente si arriverà a una coesistenza di soluzioni open source e soluzioni tradizionali proprietarie, e la scelta avverrà sulla base di criteri oggettivi di valore per l’azienda piuttosto che semplicemente per una ragione di costo».

Una delle fonti delle installazioni open source sono le migrazioni da piattaforme tradizionali. Anche se Windows, secondo NetConsulting, rimane la piattaforma di destinazione d’elezione con il 35% delle migrazioni, Linux si piazza al secondo posto con un notevole 27%. Da notare che la metà di queste migrazioni proviene da una delle tante versioni di Unix sul mercato. Dopo il sistema operativo, ossia Linux, in genere l’utente sceglie l’ambiente di sviluppo.

«Noi stimiamo che il 6% delle aziende private stia già usando una piattaforma open source per i propri sviluppi interni e che questa percentuale sia in forte crescita. Nel settore pubblico la percentuale è ancora più alta, pari al 70% delle aziende, secondo una rilevazione del Cnipa che risale al 2005. Da notare comunque che questo dato così alto deriva dal fatto che in questo settore ci sono le Università e gli Istituti di ricerca dove gli ambienti di sviluppo open source sono lo standard de facto».

E le applicazioni pacchettizzate? «Le prime soluzioni open source sono state quelle fatte in casa. Oggi però cominciano a diffondersi pacchetti applicativi come gli Erp di Compiere, Mosaico o Open For Business (OFBiz), la Business Intelligence di Pentaho, il Crm di Sugar: tutti nomi per ora meno famosi dei corrispondenti proprietari ma attorno ai quali sta crescendo un nuovo ecosistema».

Ma il cliente italiano che sceglie di sviluppare le sue soluzioni in Linux su piattaforme open source, poi si comporta come un bravo membro della comunità mettendo a disposizione il suo prodotto? «Pochissimi lo fanno – risponde Annamaria Di Ruscio. – Anche a livello europeo solo il 15% di chi sviluppa soluzioni open source le mette a disposizione della comunità, secondo quanto rileva un’indagine condotta, verso la fine del 2006, dal gruppo di studio Unu-Merit capeggiato dalla United Nations University e dalla Università di Maastricht. La percentuale è però in crescita tanto che per il 2010 dovrebbe raggiungere il 29%».

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