Il valore aggiunto di un software condiviso

L’open source, come modello di social collaboration dedicato alla produzione applicativa, offre una condivisione della conoscenza capace di accelerare lo sviluppo e potenziare le funzionalità, inaugurando una nuova ecologia del valore

Le comunità open source rappresentano una nuova via per organizzare in modo efficiente ed efficace la produzione di un bene complesso come un applicativo software, a partire da una maggiore apertura e condivisione delle proprie risorse di conoscenza. Da questo punto di vista, i brevetti rappresentano un laccio alla creatività, perché la chiusura del codice impedisce alle comunità di sviluppatori di poter inserire nel circolo virtuoso della produzione quelli che, a tutti gli effetti, possono essere considerati ulteriori tasselli di una programmazione che, ragionando in modalità aperta, può sfruttare una scala temporale e geografica incommensurabilmente più ampia.

«Stiamo assistendo a un’evoluzione dello scenario che, pur rimanendo competitivo, sta spostando l’accento anche su un aspetto decisamente cooperativo della programmazione – spiega Luciano Pilotti, docente di Marketing Relazionale e Strategie di Internazionalizzazione presso l’Università degli studi di Milano e presso la Durham Business School -. La globalizzazione ha portato a una crescente interdipendenza tra aree, paesi e continenti mentre, in parallelo, si è innescato un processo di deregolamentazione attraverso le nuove formule dell’outsourcing e dell’as a service, innestate sulla progressiva convergenza tecnologica multicanale». Fenomeni che hanno ridotto le barriere all’entrata in nuovi e vecchi settori, portando un’elevata mobilità di capitali e di persone, con un’ampia disponibilità di capitale umano, competente e non, che porta a un ciclo della conoscenza di tipo “low cost”, capace di generare valore.

«La democratizzazione dei mezzi di produzione e distribuzione – prosegue Pilotti – ha incluso in questo ciclo della conoscenza e della produzione anche i consumatori/user, sempre più consapevoli, connessi, empowered e comunitariamente attivi, grazie a motori di raccomandazione e social network. Tutto questo sta spingendo la nostra società verso la condivisione e l’integrazione di risorse informative altamente distribuite, secondo una nuova ecologia dello sviluppo e del valore. In questo senso, le architetture Soa sono l’esempio più lampante del cambiamento in atto».

La tesi espressa da Pilotti è la seguente: la pacchettizzazione è stata una prima risposta alla complessità del contesto competitivo, ma oggi questo approccio sta mostrando i sui limiti e per questo le logiche open source e il Web di ultima generazione stanno affermando tutta la loro forza e la loro efficacia. La possibilità di coprogettare, cooperare e cocreare applicazioni attraverso la condivisione dei codici rappresenta un nuovo modo di pensare lo sviluppo ma anche l’assistenza, includendo forme innovative come quelle dei mercati-forum e delle chat, che scardinano quei modelli di governance inclusivi, promuovendo nuovi paradigmi che arrivano a modificare anche i rapporti tra i competitor, facendo nascere meta-corporation o extended partnership, finalizzate a perseguire progetti di tipo co-partecipativo.

«Da una prospettiva storica, veniamo da un mondo in cui l’It era ancillare all’area strategica dell’impresa – afferma Pilotti -. Oggi sappiamo tutti che non è così: l’It è una parte strategica del business ma l’evoluzione tecnologica in atto rende difficile la comprensione di quali orientamenti seguire per una migliore gestione della governance aziendale. Stiamo vivendo in una fase di transizione e le aziende nelle loro scelte spesso si trovano a un bivio: make or buy?». Il portafoglio di opzioni disponibili è sempre più vasto e fare la scelta più appropriata non è semplice, anche perché sempre più spesso le customizzazioni risultano impegnative economicamente.

«La logica “a pacchetto” – sottolinea Pilotti – è indicata nei casi di soluzioni adattative di linearizzazione delle funzioni e dei processi, ma i maggiori costi sostenuti per l’acquisto sono giustificabili solo nel caso si renda disponibile una riserva di opzioni strategiche/d’uso decisamente flessibili, nel senso dell’adattabilità e della scalabilità. Se l’impresa ha sviluppato delle routine organizzative non coperte dal pacchetto, infatti, è necessaria una codifica del codice per integrare queste nuove funzionalità e al management si impone nuovamente la scelta del make or buy».

I nuovi criteri di Business process management stanno andando in una direzione diversa, che prevede la “spacchettizzazione” dei processi e delle attività che, tradotti in servizi multimediali ed erogati tramite standard aperti, offrono una nuova modularizzazione più sostenibile. Grazie alle logiche dell’open source, i moduli, nascendo dall’interazione strategica con il cliente e dall’adattamento alle sue esigenze evolutive e dinamiche, acquistano un grado di proattività inimmaginabile nei pacchetti proprietari tradizionali.

«L’effetto di questo mutamento di approccio – conclude Pilotti – si riverbera sui provider che, rinnovando la loro base architetturale, possono contribuire a dar luogo a modalità di customizzazione radicali, consentendo al management aziendale di integrare selettivamente gli standard più adatti e di portare in casa piattaforme elastiche, che assicurano l’indipendenza della governance It». Un modello da cui si genera una nuova ecologia del valore, con modalità di test che escono dagli ambienti di laboratorio per intercettare contributi concreti e non meramente sperimentali ed equilibri reputazionali, che contribuiscono a confermare la qualità dell’open source a beneficio di una comunità il cui perimetro è rappresentato dal mercato.

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