Il Ceo cosmopolita

Giro di opinioni, alte, su come il top management deve capire il Cio.

Il tempo come fattore critico per il business richiede intelligenza distribuita, nel duplice senso di capacità di analizzare le informazioni e di lungimiranza del management, capace di comprendere lo stretto legame tra tecnologia e successo imprenditoriale. Un rapporto a due, quindi, tra Ceo e Cio che vede sullo sfondo un’infrastruttura It integrata e capace di supportare le strategie aziendali.


Si tratta, fortunatamente, di un concetto che sta iniziando a pervadere l’economia italiana, prova ne è la testimonianza rilasciata durante il recente Sas i-days (organizzato a Milano dalla società di Business intelligence) da alcuni tra i principali manager italiani, tutti allineati nel sottolineare quanto la tecnologia debba essere argomento preferenziale anche per i vertici aziendali e come il Ceo moderno debba diventare digitale e occuparsi di informatica come di altri aspetti all’interno della propria società.



Elio Catania, presidente e amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, infatti, con una testimonianza rilasciata a Claudio Sordi, presidente di Tele Sistemi Ferroviari (società che opera nel settore dei servizi Ict per il trasporto), ha sottolineato come sia responsabilità del board occuparsi di tecnologie per promuovere e migliorare i processi.


L’It, quindi, che aiuta a prendere decisioni migliori e puntuali, così come annotato anche da Marco Tronchetti Provera (presidente di Telecom Italia) e da Silvio Scaglia (presidente di Fastweb), che preconizza l’allineamento di It e priorità di business e sottolinea che «il Ceo deve capire quanto l’It può aiutare la gestione della complessità». Sulla medesima linea si è posto anche Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, che vede l’It come una sorta di sistema cardiocircolatorio dell’impresa e ha specificato come i problemi in un’azienda non siano mai di stampo informatico bensì organizzativo e che, proprio per questo, è necessario allineare tecnologia e business, guardando agli investimenti It come a una parte centrale dell’investimento aziendale.


Anche Alessandro Zeigner (numero uno di Sas in Italia) ha parlato dell’It degli ultimi anni come parte integrante di un organismo vivente, non più il braccio sinistro, come in passato, ma sempre più vicino al cervello. Vito Gamberale, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia ha messo sul piatto la necessità di “cultura informatica”, che deve riguardare non soltanto gli utenti ma anche il management. A chiamare direttamente in causa la figura del responsabile dei sistemi, è stato poi Franco Bernabé (presidente di Fb Group, società che si occupa di tecnologie innovative oltre che di ambiente ed energie alternative) per il quale è fondamentale che il Cio dia il suo contributo prima di tutto nella strutturazione dei processi e solo poi nell’informatizzazione dell’impresa.


In realtà, però, l’Edp manager corre ancora troppo spesso il rischio di essere considerato il mago Merlino della situazione, a cui si chiede, esclusivamente e tardivamente, di risolvere i problemi dell’It aziendale grazie a una bacchetta magica che non possiede. Essere un eccellente tecnico, competente e capace, non deve rappresentare altro che un prerequisito del Cio, affinché possa gestire i processi di trasformazione, per i quali, però, la comprensione del business è fondamentale.


Un’accoppiata che deve rappresentare un dato di fatto, con un interscambio continuo di conoscenze tra Ceo e Cio anche se, secondo Renzo Passera (Cio di Italcementi) «quest’ultimo termine non dovrebbe essere usato, perché non comprende tutti i responsabili dei sistemi, così come non esiste una formula unica per tutti, visto che le esigenze variano a seconda dei settori in cui le società si muovono». Ciò che è certo, anche per Passera, è che la figura di chi sta a capo dell’It deve diventare più proattiva e pervasiva, passare da reattiva ad anticipatoria, oltre a dover parlare il linguaggio del business per «trasmettere ai decision worker le corrette informazioni su ciò che sta accadendo».


Ma, prima di tutto, come ha messo in luce Franco D’Egidio (a capo della società di consulenza Summit), le due figure «devono saper ascoltare, non limitarsi a sentire, dando rilievo al contatto umano e tenendo conto di un ampio progetto d’impresa».


Con questi presupposti, si deve iniziare a parlare di manager a tutto tondo, «senza più alibi né distinzioni tra business e It – come ha specificato Alberto Bartolini, Cio della farmaceutica AstraZeneca -. Le persone che ricoprono il mio ruolo devono capire dove si posizionano e dove il vertice aziendale vuole che si pongano. Per uscire dal vincolo dell’It e accrescere la consapevolezza di produrre valore, a molto serve il confronto con i colleghi». Un monito, quindi, a essere sempre meno “vittime” e sempre più attori di primo piano «sottolineando la nostra evoluzione ai vertici societari – ha proseguito Bartolini -, anche se in questo abbiamo ancora molto da imparare. Il rapporto tra business e tecnologia deve ancora crescere e migliorare e noi per primi dobbiamo ampliare le nostre vedute e non fossilizzarci su posizioni statiche».


Bisogna creare un filo diretto, in cui far crescere la capacità di analizzare i dati e di occuparsi di efficienza e qualità, come ha riscontrato Edoardo Lombardi, vicepresidente di Gruppo Mediolanum che considera il Cio una «persona chiave per fruire delle informazioni, il cui peso a livello organizzativo conta anche più che per l’It».

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