Come acquistano le aziende del fashion

One Consulting indirizza gli investimenti Ict nel mercato glamour

Pubblichiamo un’attenta riflessione di Paolo Parolin, socio
fondatore della One Consulting, legata alla propria esperienza di consulente
Ict nel settore del fashion.
«Le aziende che operano nel settore fashion sono caratterizzate dall’obbligo
di doversi sottoporre a un continuo e severo esame del mercato all’atto della
presentazione di ogni collezione e quindi almeno due volte l’anno. Il non poter
prevedere il successo o meno di una collezione porta le aziende del settore
fashion inevitabilmente a ragionare in termini di massima flessibilità
in modo da aver una struttura minima da poter reggere con il minimo fatturato
ipotizzabile (…mal che vada…) e dislocando all’esterno tutte quelle attività
(ma anche funzioni e processi) la cui entità dipende dal successo (che
può ripetersi o meno nel tempo) di una collezione. Gli obiettivi organizzativi
delle aziende che operano nel fashion sono di disporre all’interno di una struttura
altamente professionale con strumenti informatici e processi organizzativi eccellenti
e all’esterno partner affidabili di qualità.
Da un punto di vista tecnologico informatico, quindi, le aziende fashion focalizzano
le loro politiche su due aspetti fondamentali: il primo ha a che fare con la
continua riduzione dei costi fissi di struttura che non permette investimenti
tecnologici se non con la prospettiva che questi comportino una riduzione dei
primi. Il secondo aspetto si concentra con il continuo mutamento delle caratteristiche,
anche organizzative, necessita di strumenti tecnologici molto flessibili quasi
auto-adattabili alle necessità delle aziende.
In estrema sintesi, quello che noto è un passaggio graduale da impresa
produttiva a impresa di progettazione e di distribuzione. Le conseguenze sul
piano informatico sono che tali aziende sempre meno necessitano di complessi
programmi di gestione della produzione e sempre più richiedono programmi
in grado di dialogare con partner di tutto il mondo, magari delegando a costoro
anche l’inserimento di informazioni relative alla produzione (fornitori) e alla
distribuzione (clienti e negozi) – in sostanza una supply chain, anche se progetti
di questo tipo sono oggi troppo costosi per un gran numero di aziende.
A mio avviso, il mercato dell’abbigliamento non può essere considerato
in crisi. È sicuramente in continuo cambiamento. Rimane, invece, come
elemento di crisi, l’incapacità di prevedere le performance delle aziende
del fashion. Un’incapacità che porta inevitabilmente a non rischiare,
a selezionare gli investimenti, a preferire la dislocazione di processi non
strategici in capo a terzi riducendo i costi fissi di struttura»

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