Cloud: sta bene all’Italia

Secondo uno studio condotto da Bsa in collaborazione con Galexia, l’Italia si collocherebbe al sesto posto nella classifica dei 24 Paesi che si stanno preparando alla rivoluzione del cloud. Merito della nostra legislazione.

Quando si parla di cloud computing, l’Italia, nonostante i problemi infrastrutturali e in qualche misura anche culturali che la caratterizzano, sembra non essere mal posizionata.
Per lo meno così si evince dai risultati di una indagine condotta da Business Software Alliance in collaborazione con Galexia con l’obiettivo di misurare il livello di preparazione delle singole nazioni nel sostenere lo sviluppo di un mercato integrato nel cloud.

BSA Global Cloud Scorecard, questo il nome dello studio, ha preso in esame 24 Paesi nel mondo, che complessivamente rappresentano l’80% del mercato Ict nel suo insieme, misurando, nello specifico, sette parametri: privacy dei dati, cyber security, crimine informatico, tutela della proprietà intellettuale, interoperabilità delle tecnologie e armonizzazione dei sistemi legali, libertà nelle politiche commerciali, disponibilità di infrastrutture Ict.<BR
Il dato positivo è che il nostro Paese guadagna un buon piazzamento in questa particolare classifica: l’Italia è infatti sesta, dopo Giappone, Australia, Germania, Stati Uniti e Francia.
La buona valutazione del nostro Paese deriva in primis dall’esistenza di una legislazione ben impostata per le necessità del cloud, a partire dalle normative vigenti in materia di diritto d’autore che, se pure con qualche dubbio in merito alle pratiche di enforcement, ben si applicano anche ai servizi cloud.
Parimenti adeguata pare anche, secondo lo studio, la legislazione in materia di cyber crime, mentre il tema della tutela della proprietà intellettuale risulta minato dalla difficoltà di attuare iniziative di enforcement a causa dell’eccessiva lunghezza dell’iter giudiziario.
Per quanto riguarda poi la legislazione sulla privacy, la valutazione di Galexia evidenzia una certa onerosità, mentre in merito alla prevenzione della circolazione di contenuti illegali, lo studio evidenzia la necessità di un maggiore controllo e filtro dei contenuti a livello di Isp.

Nell’ambito della Ue, si sottolinea ancora, le legislazioni vigenti sembrano tutte ben orientate a garantire un adeguato supporto anche alla diffusione del cloud, anche se si nota ancora una certa disparità legislativa che rischia di creare punti di conflittualità tra i diversi Paesi.

Se il terreno è propizio, quel che manca è la cosiddetta spinta definitiva.
Secondo Bsa Italia, e per parola di Matteo Mille, presidente in carica, sette sono i filoni di intervento indirizzabili perché il decollo avvenga: in primo luogo proteggere la privacy degli utenti senza nel contempo inibire il ” il libero flusso dei dati e delle transazioni commerciali”; in secondo luogo promuovere pratiche avanzate di cyber security, senza particolari oneri tecnologici a carico delle imprese o degli enti governativi; in terzo luogo identificare deterrenti e motivazioni adeguate per spingere la lotta al cyber crime; la quarta necessità è quella di promuovere l’enforcement dell’azione legale contro chi viola o si appropria indebitamente di sistemi e dati in the cloud; il quinto punto enfatizza la necessità di incoraggiare l’interoperabilità ” fra diversi fornitori e soluzioni cloud”, mentre il sesto guarda alla promozione del libero commercio.
L’ultimo punto, poi, tocca il tema degli incentivi: è importante, si legge nella nota emessa oggi da Bsa, ”Offrire incentivi al settore privato perché investa nelle infrastrutture broadband, promuovendo l’accesso di tutti i cittadini ad esse”.

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