Anti-Google e anti-aggregatori: un altro DDL minaccia la Rete

Approda in Commissione Giustizia al senato il DDL presentato dal senatore Butti: in discussione gli aggregatori e i motori di ricerca. E forse non solo loro.

Sembrano non avere mai fine le iniziative di legge che, con la scusa di adeguare la legislazione vigente ai nuovi media, di fatto pongono nuovi limiti all’utilizzo delle informazioni in Rete.
Ne è un esempio palese il DDL 2297 presentato circa 20 mesi dal senatore Alessio Butti e ora approdato per l’esame alla Commissione Giustizia del Senato.
Un disegno di legge composto di un solo articolo ma che mette in discussione alcuni principi basilari.

Nella prolusione si legge infatti: ” Il presente disegno di legge intende garantire la tutela della proprietà intellettuale dell’opera editoriale sia nelle forme tradizionali (carta stampata) sia nelle forme digitali (diffusione via internet).”
Poi l’affondo: ” I soggetti che raccolgono pedissequamente – selezionandoli per materia senza alcun personale apporto originale ed innovativo – articoli di quotidiani e riviste al fine di venderli a terzi, così come i siti internet che prelevano sistematicamente dalle pagine web dei giornali notizie e contenuti editoriali da offrire ai propri utenti, utilizzano indebitamente lo sforzo organizzativo ed imprenditoriale di altri. […] Il disegno di legge, dunque, individua efficaci modalità di recupero di tali diritti, superando definitivamente talune difficoltà interpretative ed organizzative poste dalla legislazione vigente circa il riconoscimento del diritto degli editori a vedersi attribuiti i suddetti compensi”.

Sulla scorta di queste considerazioni di base, il DDL prevede che ” l’utilizzo o la riproduzione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, di articoli di attualità pubblicati nelle riviste o nei giornali, allo scopo di trarne profitto, sono autorizzati esclusivamente sulla base di accordi stipulati tra i soggetti che intendano utilizzare i suddetti articoli, ovvero tra le proprie associazioni di rappresentanza, e le associazioni maggiormente rappresentative degli editori delle opere da cui gli articoli medesimi sono tratti”.

Il rischio che si nasconde dietro queste poche righe è evidente, come ben evidenzia nella sua analisi l’avvocato Guido Scorza, Presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione.
Innanzi tutto, quando si parla di profitto è facile includere in questa accezione anche gli introiti pubblicitari derivanti dall’esposizione di banner o altri messaggi. È quindi palese che la casistica diventa a questo punto universale.

In secondo luogo, come evidenzia Scorza, anche il termine ”utilizzo” si presta a una gamma di accezioni assai ampie: ” Indicizzarlo? Linkarlo? Inserirne un estratto in un post per commentarlo o discuterlo? La sensazione, sfortunatamente, è che il Sen. Butti stia pensando a tutte queste cose”.
Date le premesse sopra riportate, non è difficile immaginare come motori di ricerca e aggregatori di notizie finirebbero, qualora la proposta passasse, nel novero degli utilizzatori illeciti.
A meno che non versino le dovute prebende.
Un approccio che lo stesso Scorza definisce anacronistico e che porterebbe l’informazione in rete a un appiattimento autoreferenziale, nel quale ognuno può citare solo se stesso.

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