Videogiochi all’italiana. E alla francese

Storia di un’altra occasione perduta


Su Punto Informatico un giovane appassionato di videogame racconta la sua storia.
Da solo ha realizzato un videogioco che è stato scaricato dalla rete da circa trentamila persone e ha ricevuto qualche segnalazione dalle riviste di settore. Rudy il gioco l’ha realizzato per farsi notare dalle software house italiane del settore e trovare così un lavoro in un settore che lo appassiona.

Intento lodevole se non fosse che in Italia di software house specializzate nei videogame ce n’è pochissime (per quel che ne so Lago e Milestone poi acquistate da Leader e Ubi Soft, multinazionale francese, che ha aperto anche in Italia uno studio per la realizzazione dei suoi giochi). Alla fine Rudy ha dovuto ripiegare su un lavoro nell’It del settore finanziario dopo che nessuno lo ha mai contattato per quello che era il lavoro dei suoi sogni.

Con il suo racconto Rudy tira in ballo quello che è stato uno tanti errori di politica industriale nel nostro Paese. Abbiamo fatto di peggio, ma anche la storia dei videogiochi vale la pena di essere raccontata.
I videogiochi in Italia sono considerati ancora oggi alla stregua di “giochini”, roba per bambini e non un business colossale che dietro di sé ha competenze variegate e di alto profilo.


Per realizzare un videogioco ci vuole qualcuno che pensi alla storia, altri che si occupino della musica, di tutta l’animazione grafica. Insomma, una robina abbastanza complessa tanto che i budget per ogni gioco (almeno quelli per le console da tavolo e i pc) hanno raggiunto livelli molto elevati.


In Italia nessuno si è accorto di questo. Nessuno ha pensato che la creatività italica, nel cinema è successo, avrebbe potuto dire la sua anche in questo campo, dando vita a una generazione di persone con competenze informatiche molto utili.

In Francia, invece, se ne sono accorti e hanno iniziato a finanziare società che lavoravano nel campo del multimediale. Qualche anno fa mi è capitato di fare un viaggio per lavoro proprio in Francia e vedere cosa stavano combinando in quel settore. Mi ricordo un una casa editrice multimediale che praticamente lavorava solo per la Pubblica amministrazione con prodotti poco significativi, ma anche esempi di società di videogame che erano già arrivate alla quotazione in Borsa.


Una è fallita dopo avere raggiunto la soglia dei duecento dipendenti, ma altre esistono ancora. Non sono in grado di dire se tutte siano state aiutate dallo Stato, ma sicuramente in Francia il settore nel suo complesso è stato sovvenzionato e oggi i transalpini possono vantare nomi come Infogrames, Ubi Soft (che fino a qualche tempo fa aveva nell’azionariato la Casse des depots di proprietà pubblica) e anche Vivendi che ha la sua divisione giochi. E siccome non tutto deve poggiare sulle spalle dello Stato bisogna aggiungere che in Francia il mercato del venture capital e dei finanziamenti alle imprese funziona meglio che da noi.


Che significa posti di lavoro, nuove competenze in settori innovativi e storie come quella di Rudy a lieto fine.


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