Stretta sul credito per le Pmi, come combatterla

Le soluzioni per uscire dalla crisi: ricapitalizzazione, rinegoziazione del debito e valorizzazione degli intangibles

Costo del denaro, Basilea 2, scarsa liquidità e contenimento del credito stanno mettendo a dura prova le imprese italiane, specie quelle di piccole e medie dimensioni. Le soluzioni per uscire dalla crisi: ricapitalizzazione, rinegoziazione del debito e valorizzazione degli intangibles


A livello microeconomico la crisi finanziaria in atto sta aggiungendo nuovi problemi a quelli già esistenti nel sistema delle piccole e medie imprese italiane. Scorriamo brevemente le principali criticità e le relative misure per combatterle.


Tassi di interesse…
L’andamento dell’Euribor (1, 3 e 6 mesi) da parecchio tempo ormai non si avvicina al tasso ufficiale di sconto, indicato dalla Banca Centrale Europea, ma viceversa diverge in maniera sostanziale.


L’ultima forzata manovra al ribasso condotta da Trichet non ha azzerato il gap, anche se l’indicatore del tasso variabile si sta lentamente muovendo verso il basso.


La causa principale va imputata alla scarsa liquidità presente sul sistema interbancario e alla crescente diffidenza che gli istituti di credito nutrono l’uno per l’altro in questo momento di incertezza finanziaria ed economica.


Nonostante le iniezioni di liquidità delle banche centrali, dunque, l’Euribor non scende, o almeno non scende quanto dovrebbe, con uno scollamento di quasi un punto rispetto al Tus, attestatosi dopo l’ultimo taglio, al 3,75%.


L’immediato riflesso è sul costo dei mutui a tasso variabile contratti dalle imprese (e ovviamente anche dai privati). Il costo del denaro non scende, complicando una situazione già particolarmente difficile a causa del calo degli ordinativi in atto e dei pagamenti che si fanno sempre più difficoltosi (con un’impennata degli insoluti bancari). In aggiunta a tutto ciò le direzioni delle banche nella stragrande maggioranza dei casi stanno provvedendo a rivisitare al rialzo spread e commissioni, per racimolare qualche risorsa in più in vista di un aumento delle sofferenze legate alla crisi economica.


L’unica difesa in questo senso è rappresentata dal sistema dei Confidi, che servono proprio a calmierare il costo del denaro e scambiano la loro garanzia con condizioni più vantaggiose per i loro associati.


… e credit crunch
È palpabile la stretta sul mercato del credito, non per tutte le imprese certo, ma sicuramente per molte, più precisamente per quelle a basso rating, “bollate” da Basilea 2 come clientela non più interessante, ma anzi penalizzante in chiave prospettica a causa degli elevati accantonamenti a patrimonio di vigilanza per chi concede loro affidamenti, ovvero le banche.


Parlando di rating, il livello di soglia sembra essersi attestato intorno al rating B, o 6 per gli istituti che utilizzano sistemi di valutazione numerici anziché alfabetici.


Al di sotto, la capacità di ottenere o mantenere credito si riduce notevolmente, o quantomeno il costo del denaro si impenna vertiginosamente.


Scivolare fino ad un rating CCC (o 7) non è poi così difficile: basta essere sottocapitalizzati, caratterizzati da margini operativi non entusiasmanti, appartenere a un settore considerato in crisi e essere contraddistinti da andamentali negativi.


Riguardo al primo punto, il sistema delle Pmi nostrane si contraddistingue notoriamente per la scarsa capitalizzazione. Considerando che livelli discreti di patrimonializzazione ai sensi di Basilea sono quelli espressi da bilanci in cui il patrimonio netto rappresenti circa un quarto del totale passivo e l’azienda esprima un leverage minore o uguale a quattro, possiamo facilmente immaginare che l’esercito dei sottocapitalizzati conti molte reclute. Quanto alla redditività, un margine operativo lordo consono deve corrispondere almeno al 10% del fatturato. Anche qui il campo si restringe, lasciando al di fuori degli eletti un buon numero di soggetti, a maggior ragione in un momento di crisi economica, che facendo mancare agli imprenditori un arco temporale accettabile in termini di ordini e di produzione, li costringe a produrre a singhiozzo, con diseconomie continue a livello industriale e conseguente riduzione degli utili.


Riguardo al settore di appartenenza, in questo momento credo sia più facile definire quali settori non siano in crisi, rispetto a quelli toccati da contrazione di fatturato.


Facilissimo quindi essere identificati come un’impresa che opera in un comparto a rischio.


In ultimo gli andamentali.


Centrale rischi sconfinante e elevata percentuale di insoluti sono gli elementi maggiormente destabilizzanti per un rating. In un momento come l’attuale, dove i cattivi pagatori si moltiplicano e i tempi di pagamento si allungano arricchendosi di una dose di aleatorietà non trascurabile, non è poi così difficile incappare negli insoluti malgrado una sana gestione aziendale. Si aggiunga che gli enti pubblici sono tra i peggiori pagatori e che in generale stanno allungando i pagamenti, a discapito delle imprese che forniscono loro servizi e prodotti. Aziende che talvolta si vedono rifiutare dalle banche le richieste di smobilizzo dei crediti verso enti pubblici proprio a causa del comportamento inaffidabile di questi ultimi. Gli sconfini in Centrale Rischi, soprattutto quelli sulle linee a revoca (conto corrente) e sulle linee a scadenza (medio termine, leasing e “denaro caldo”) sono la diretta conseguenza dei mancati incassi e della conseguente crisi di liquidità per le imprese, crisi acuita anche dal calo degli ordinativi in atto, che sta investendo tutti i settori, anche se con intensità diverse.


Inanellare in rapida serie tutte e tre le negatività (sottocapitalizzazione, scarsa redditività operativa e pessimi andamentali) non è poi così difficile. E altrettanto facile è finire tra i “cattivi”, quelli da tripla C.


L’intervento dei Confidi può in qualche misura limitare la stretta (credit crunch), sostituendo con la propria garanzia la debolezza delle imprese, ma anche l’intervento dei consorzi di garanzia ha un limite rappresentato dalla loro capitalizzazione.


Anch’essi non possono crescere all’infinito, subissati come sono dalle richieste di intervento del sistema bancario e delle imprese stesse.


Negli ultimi anni l’attenzione delle banche nei loro confronti è cresciuta a dismisura, fino a farli diventare partner indispensabili per ogni operazione di credito a medio termine e spesso anche a breve. Della loro valenza, soprattutto in periodi di congiuntura negativa si sono accorte anche le regioni, che con vari programmi e in maniera diversificata a seconda delle aree geografiche tentano di sostenerli e di ricapitalizzarli. Viceversa le Camere di commercio, tradizionalmente sostegno finanziario per i Confidi, in molte aree d’Italia si stanno disimpegnando, proprio nel momento in cui il loro apporto sarebbe più necessario.


In mancanza di adeguate garanzie, le banche ultimamente, sui rating deboli, si muovono rapidamente verso il contenimento del rischio e in caso di elevati ritorni di insoluti procedono a revocare le linee, con problemi enormi per le imprese.


Rispetto a qualche anno fa, gli istituti bancari si sono fatti più drastici. Niente più tentativi di ricomporre, niente più piani di rientro, ma la revoca degli affidamenti, come già detto, demandando agli uffici centrali che si occupano di contenzioso il compito di recuperare tutto il possibile.


Peccato che poi gli uffici centrali si intasino fino a non riuscire più a smaltire il pregresso e il quotidiano, con danni per la banca stessa.


Ciò avviene soprattutto per le grandi banche, dove procedure ferree hanno legato le mani agli uomini di filiale, costringendoli a passare le pratiche in alto, anziché cercare un ricomposizione del conflitto in loco.


Passaggio a contenzioso, segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi… Nel giro di qualche mese l’impresa non trova più nessun soggetto sul mercato disposto a concedere linee di credito e, a causa della carenza di liquidità, con potendo contare su ingenti capitali propri, chiude i battenti. E magari a monte di tutto si era semplicemente verificato un forte ritorno di insoluti non imputabili alla cattiva gestione dell’imprenditore. Qualche anno fa l’impresa sarebbe comunque rimasta in piedi, avrebbe consolidato i crediti inesigibili a medio termine con un piano di rientro, adesso non più.


Quali contromisure?
La più scontata è anche quella maggiormente auspicabile e contemporaneamente di difficile attuazione: ricapitalizzare al più presto l’azienda, in modo da ridurre la propria dipendenza dal sistema bancario.


Utili a riserva, nuovi apporti, prestiti partecipativi, tutti fungono allo stesso scopo, rendere l’impresa più salda e indipendente in momenti di congiuntura negativa e di crisi economica. È sicuramente il miglior sistema per affrontare una crisi di liquidità dovuta a scarsi ordinativi ed è il miglior strumento per elevare rapidamente il proprio rating. Occorrono purtroppo dei capitali che non sempre si hanno a disposizione o, che pur avendo a disposizione, non è possibile utilizzare perché investiti in strumenti finanziari attualmente sotto pressione (azioni, fondi d’investimento…), che genererebbero forti perdite in caso di uscita.


Un’altra possibilità (di riserva) è quella di rinegoziare il debito, magari con l’ausilio di un Confidi, spalmandolo su un arco temporale il più lungo possibile. Diluendo il debito si diluisce la rata, con beneficio in termini di flussi di cassa, nella speranza che il domani sia migliore del quotidiano e che la crisi finisca. Consolidare le passività significa anche trasferire il debito da linee a revoca (che per definizione possono essere revocate in qualsiasi momento) in linee a medio termine, che godono del beneficio del termine e dalle quali non può essere chiesto il rientro (a patto ovviamente che le rate vengano onorate a scadenza) se non in caso di manifesto stato di insolvenza del debitore. Il beneficio è palese: minor aleatorietà delle linee, minor dipendenza dalle bizze di un direttore, maggior stabilità finanziaria. In tali ipotesi va valutata anche l’opzione di agganciare il finanziamento a un tasso fisso anziché variabile, in modo da definire a priori, al centesimo, il costo della linea e l’incidenza in termini di flusso negativo in ogni periodo da qui alla scadenza del prestito.


Se possibile andrebbe inserito anche un periodo di preammortamento durante il quale il debitore debba far fronte ai soli interessi limitando il rimborso del capitale a un certo numero di mesi dopo l’erogazione. Ciò allo scopo di diluire l’impegno finanziario, trasferendone la parte più gravosa (il rimborso del capitale) a un periodo futuro in cui si spera che gli effetti della crisi economica si siano mitigati.


In ultimo non guasterebbe agire sugli “intangibles”, sui qualitativi che rientrano anch’essi nella definizione del rating aziendale. I gestori bancari, sulla base di questionari qualitativi intervengono nella valutazione complessiva dell’azienda.


Comunicare loro in maniera chiara i propri progetti per il futuro, le strategie, i mercati da aggredire o i prodotti da lanciare sul mercato, magari con una relazione scritta e qualche numero sugli effetti nel bilancio aziendale delle proprie idee, può aiutare a risalire la china e fare la differenza tra vedersi negata una linea o accolti tra coloro a cui il denaro viene ancora prestato con fiducia.


(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti&Credito, Novecento media)

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