Stessa velocità di evoluzione per Cio e azienda

Da sinistra, Marco Forneris di Telecom Italia, Guido Guerrieri, di Cnh Iveco, Paolo Manzoni di A2A e Massimo Messina di Poste Italiane Il Cio come hub dell’impresa, crocevia di obiettivi, strategie, processi e collaborazione. In un’azienda che cambia e …

Da sinistra, Marco Forneris di Telecom Italia, Guido Guerrieri, di Cnh Iveco, Paolo Manzoni di A2A e Massimo Messina di Poste Italiane

Il Cio come hub dell’impresa, crocevia di obiettivi, strategie, processi e collaborazione. In un’azienda che cambia e diventa, anche nelle sue espressioni piccole e medie, globalizzata e delocalizzata, il responsabile dei sistemi informativi appare sempre più spesso come un abilitatore dell’innovazione, capace di comporre il puzzle di business e tecnologia, affrontando le sfide umane e strutturali specifiche della realtà in cui vive.

Secondo i risultati dell’annuale Cio Survey (ricerca qualitativa realizzata da NetConsulting e promossa da Amd, Hp e Microsoft, con il patrocinio del ClubTi di Milano e di FidaInform), in particolare, i capi dell’It delle società italiane si suddividono in quattro categorie (operativi, integratori di business, a supporto dell’innovazione, strategici) alla costante ricerca di un equilibrio tra riconoscimento professionale e importanza dell’It, interazione e conflitto con i responsabili delle diverse funzioni aziendali. Il Chief information officer, dunque, sta evolvendo all’interno di imprese che, a loro volta, mutano la propria impostazione. Un doppio cambiamento che può essere positivo, sempre che le due condizioni procedano alla medesima velocità, che il management attribuisca a chi guida l’Edp il giusto peso e, al contempo, che quest’ultimo metta l’It concretamente a disposizione del business.

Una fase di trasformazione è proprio quella che sta vivendo A2A, utility lombarda (nata dall’unione di Aem Milano, Asm Brescia e, in parte, Amsa), che, con ambizioni di crescita europea, punta all’ottimizzazione degli asset, all’integrazione e all’ottimizzazione dei costi. «La spinta arriva in parte dal business – esordisce Paolo Manzoni, Cio di A2A – per differenziare le proposte e rispondere alle normative. Rispetto al passato, infatti, è cresciuta la richiesta di fornire strumenti di offering, di billing e per ottenere una maggiore conoscenza dei clienti. Di conseguenza, diventa fondamentale mettere l’accento sugli skill dell’Ict, per cogliere un duplice obiettivo: lavorare in sinergia, evitando le duplicazioni nei sistemi, e sviluppare innovazione di processo e nell’ambito degli acquisti».

Nonostante (o grazie) ai momenti di cambiamento, dunque, è possibile scoprire i benefici dell’Information technology. Un concetto condiviso da Guido Guerrieri, senior vice president e Cio di Cnh Iveco, che riconosce al responsabile dei sistemi informativi una posizione centrale all’interno di una situazione di complessivo mutamento: «Ormai l’innovazione di processo e di filiera non ha confini, si realizza ovunque nel mondo e con partner “allungati”. In Italia, però, a parte pochi grossissimi nomi, mancano i vendor in grado di supportare la globalizzazione delle imprese. Servirebbe, invece, un’inversione di tendenza, per dare maggiore respiro alle società, perché il flusso dei prodotti si sviluppa su larga scala geografica e bisogna, quindi, dedicare un occhio di riguardo alla sicurezza dei dati e della proprietà intellettuale».

Anche la capacità di creare dei veri e propri rapporti di partnership con i fornitori è ritenuto un aspetto fondamentale da gran parte dei Cio che, però, per realizzare progetti di co-sviluppo a beneficio dell’It, ritengono necessario ridurne il numero, così come ricorrere all’esternalizzazione, per focalizzarsi sul business centrale, migliorare i servizi e ridurre i costi. «Se il full e il Business process outsourcing non sono più concetti così diffusi – indica Massimo Messina, responsabile Ict governance & operational planning di Poste Italiane -, l’approccio del transformational sourcing, che permette di affidare applicazioni non core a esperti del settore, secondo gli standard e le impostazioni strettamente aziendali, costituisce un vantaggio. Così come l’integrazione tra servizi It e divisioni che li erogano». Perché se Poste Italiane, in passato, era strutturata per aree, ognuna delle quali gestiva la sua Information technology in modo diretto, da qualche tempo è stata creata una direzione centrale, che tra gli altri, ha il compito di armonizzare le priorità, evitando che i responsabili di funzione possano compiere mosse in modo “indipendente”. «L’Ict governance – continua Messina – permette di cercare un equilibrio tra domanda e ingegnerizzazione delle applicazioni, con l’informatica al servizio del business per derivare nel pratico i processi operativi».

Che la governance costituisca una spinta importante per garantire l’aderenza di un’azienda ai suoi obiettivi è pensiero anche di Marco Forneris, responsabile Ict governance di Telecom Italia, per il quale «è spesso considerata come l’ombrello a maggio: se ce l’hai e non piove, appare inutile, se però serve, ma non lo si ha con sé, allora ci si rammarica e si subiscono i danni». Un parallelismo fatto con cognizione di causa, visto che in Telecom Italia al tema lavorano centinaia di persone, di cui l’It rappresenta una parte rilevante ma non la più importante. «La difficoltà di fornire sistemi compliant è molto alta – prosegue -. Business intelligence e Customer relationship management, ad esempio, comportano grandi complicazioni per quanto riguarda l’accesso ai dati. Va da sé che la materia deve essere altamente disciplinata e che la governance dell’It, fornendo strumenti in totale trasparenza, può rappresentare una leva per supportare l’azione di quella corporate nei confronti dei numerosi adempimenti con cui si interfaccia e delle soluzioni che sviluppa».

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