Delle potenzialità, i pericoli, gli scenari futuribili e fantascientifici dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale siamo rimasti tutti attratti, e il tema, anche solo a nominarlo, ha continuato ad attirare spettatori ammirati. Spettatori, appunto, tanti, ma pochi ancora gli attori che hanno deciso di mettersi in gioco. Il cambiamento culturale e di processo che l’AI richiede per mostrare i suoi poteri è tale che, soprattutto nel concreto mondo del manifatturiero, merita qualche riflessione in più, anche se questo comporta un certo rallentamento nella sua adozione. Siemens in occasione del suo Tech Talk di quest’anno ha analizzato anche questo aspetto, che è a margine della pura tecnologia, ma che diventa determinante per la sua adozione su scala. Perché l’intelligenza artificiale diventi un elemento strutturale dell’industria e non un’eccezione sperimentale, ci vuole molto più di una buona tecnologia. Servono collaborazione, interoperabilità e una visione comune tra chi guida l’innovazione, dal momento che non si sta discutendo del “se” l’AI cambierà il modo in cui si produce, ma di “come” farla funzionare nel mondo reale, in contesti operativi molto diversi tra di loro, fatti di complessità, vincoli, responsabilità, persone.
L’AI ha il potenziale per rendere più intelligenti le fabbriche, più veloci le decisioni, più sicuri e produttivi i processi. Ma questo potenziale resta inespresso se non si creano le condizioni per applicarlo su scala ampia, condivisa e aperta. Ed è qui che entra in gioco il concetto di ecosistema: non più tecnologie sviluppate in silos, ma progettate fin dall’inizio per collaborare, contaminarsi e crescere insieme.
E questa è anche la logica dell’approccio che Siemens sta costruendo nel mondo dell’AI industriale, dove intende unire le forze con attori complementari, in grado di arricchire la proposta con know-how specifici, tecnologie abilitanti e competenze operative. Microsoft, Nvidia e Accenture hanno risposto all’appello, e su invito di Siemens hanno raccontato la loro idea di intelligenza artificiale applicata al manufacturing, le esperienze già in corso e le strategie condivise per superare la fase pilota e diffondere l’AI dove davvero può fare la differenza.
Microsoft: democratizzazione e concretezza per una diffusione su scala dell’AI
Tre prospettive diverse e complementari, che puntano tutte a trasformare l’AI in un alleato concreto per le aziende, rendendola accessibile, applicabile e sostenibile. Ed è proprio il tema dell’accessibilità che è a cuore di Vincenzo Esposito, CEO di Microsoft Italia, sottolineando come la democratizzazione della tecnologia sia oggi indispensabile per potere costruire valore su scala. Ma lavorando insieme. “Siemens Industrial Copilot è un agente AI che nasce dalla nostra collaborazione, e la sua adozione da parte di un cliente del calibro di gruppo Danieli è la dimostrazione che siamo ormai oltre ai concept futuristici, ma immersi in progetti concreti, già utilizzati sul campo. La tecnologia smette così di essere teoria e diventa esperienza. Il Copilot sviluppato insieme a Siemens ha dimostrato che l’AI può essere utile fin da subito, perché dà un valore tangibile su tutta la catena industriale, dalla formazione, alla progettazione e alle operation. E, soprattutto, diventa un alleato sempre presente. È come avere un collega esperto accanto ogni giorno”.

Ma l’aspetto veramente rivoluzionario dell’AI è la sua natura democratica che, grazie al cloud, porta queste tecnologie anche al di fuori dell’uso esclusivo da parte delle grandi multinazionali. Modelli che possono essere adottati anche da aziende di dimensioni minori, a costi sostenibili, con forme contrattuali a consumo e scalabili. In questo modo non bisogna più mobilitare grandi capitali per scoprire, magari dopo mesi, se un progetto o un investimento ha senso oppure no. Con l’intelligenza artificiale il ritorno si misura in tempi molto più brevi, e questo accelera tutto.
Ma il cambiamento non sta girando intorno solo alla tecnologia, e impone un ripensamento culturale non da poco.
«In molti casi – osserva Esposito – le aziende ci dicono che, grazie all’AI, risparmiano ore e ore di lavoro. Ma poi si trovano a chiedersi come impiegare in maniera costruttiva quel tempo liberato. Non è una questione banale. Stiamo parlando di trasformare le competenze, i ruoli, i modelli decisionali. E non tutte le aziende sono pronte. Alcune hanno paura a fare il gran passo del cambiamento non tanto per la tecnologia, ma proprio per la riorganizzazione che comporta. È per questo che non dobbiamo partire dall’AI come oggetto in sé, ma dai problemi reali che riesce a risolvere. L’AI non è fine, è mezzo. Se non c’è un caso d’uso concreto, rischia di essere solo un’etichetta. Ma se il bisogno è reale e la visione è condivisa, allora può diventare un acceleratore potente”.
Un’accelerazione che comunque, per essere sostenibile, deve basarsi su delle infrastrutture potenziate, le quali stanno velocemente e radicalmente evolvendo per potere sostenere le altissime capacità di calcolo di cui l’intelligenza artificiale si nutre per esprimere il proprio potenziale generativo. Una capacità di calcolo che cresce sempre di più ogni volta a ogni generazione di microprocessori destinabili alle nuove soluzioni.
Nvidia: modelli di AI industriale affamati di calcolo
«Nvidia introduce una nuova generazione di chip ogni due anni, moltiplicando la capacità di calcolo in modo esponenziale – informa Riccardo Bernasconi, Senior Sales Manager di Nvidia Networking South Europe -. Potenze crescenti che ci permettono di costruire soluzioni come i digital twin industriali, che non sono modelli statici, ma ambienti dinamici dove si può simulare l’intera fabbrica, rispettando le leggi fisiche. Praticamente è come costruire la fabbrica prima di costruirla davvero, ma potendo calcolare, prevedere gli effetti a ogni variabile, prima di doverlo poi verificare nella realtà”.
La potenza di calcolo diventa così la base per il nuovo paradigma generativo dell’AI, che non si limita più a riconoscere il mondo, lo crea. “Parliamo di AI generativa industriale, in grado di gestire algoritmi che creano contenuti, scenari, configurazioni operative sulla base dei dati storici e dei modelli fisici. Questo significa passare da una produzione reattiva a una produzione che anticipa esigenze e problematiche. Non solo prevedere, ma decidere prima che accada”.
Ma anche Bernasconi sottolinea l’aspetto non elitario dell’AI, le cui potenzialità possono essere sfruttate da tutti. “L’AI non è per pochi. In Italia stiamo collaborando con molte PMI che stanno sviluppando soluzioni AI a livello locale, anche in settori impensabili. Una di queste, per esempio, è un’azienda piemontese che produce macchinari per l’imbottigliamento. Insieme, abbiamo portato il digital twin all’interno della linea produttiva, migliorando prestazioni e manutenzione predittiva. Questo dimostra che la tecnologia è matura, ma deve essere raccontata e resa accessibile”.
E infine, il richiamo alla collaborazione: “Quello che stiamo costruendo con Siemens è un ecosistema. Perché oggi le tematiche industriali sono troppo complesse per essere affrontate da soli. ci sono aspetti di sicurezza, di etica, di interoperabilità. Solo unendo le forze si può davvero fare innovazione”.
Un’unione di forze che deve essere presente anche tra i diversi compartimenti dell’azienda stessa, visto che gli effetti della trasformazione innovativa si ottengono concertando i benefici tecnologici che l’AI porta, all’interno di un progetto che sia complessivo, non di un singolo dipartimemto.
Accenture: AI come progetto di trasformazione per tutta l’azienda
“L’impiego dell’intelligenza artificiale in azienda non può partire da una funzione specifica, non può essere un progetto del solo dipartimento IT. Deve essere voluta e compresa dal top management, deve avere un cuore, una direzione, una volontà condivisa. Altrimenti, resta tecnologia, non cambia niente” consiglia Mauro Marchiaro, Senior Managing Director Industry X Accenture ICEG, che insieme a Siemens ha lavorato in diversi ambiti per costruire percorsi trasformativi guidati dall’AI. Anche sperimentando di persona gli effetti dell’AI in azienda.
“Ci siamo messi alla prova internamente, applicando l’intelligenza artificiale ai nostri processi. Ed è stato fondamentale per capire dove funziona davvero e dove no. E noi stessi abbiamo imparato che ogni progetto AI è anche un progetto di change management, che richiede coraggio, flessibilità, disponibilità a sbagliare e a correggere”.
Una considerazione che Accenture sta portando e osservando in diversi settori, alcuni dei quali già vivacemente attivi e che sono alla guida della trasformazione, come l’automotive, il manufacturing, l’energy in primis, seguiti da altri, come il pharma o il consumer, dove c’è interesse ma le potenzialità sono ancora da esplorare pienamente. Ma l’osservazione generale che accomuna anche Accenture ritorna sul fatto che la tecnologia da sola, non è sufficiente. Servono partner con competenze specifiche, capacità di realizzazione, e soprattutto la volontà di ascoltare i clienti.
“Solo così l’AI può portare valore vero. In questo ambito, con Siemens condividiamo una visione comune. La nostra è una relazione fondata sulla fiducia e sull’obiettivo condiviso di rendere l’AI un fatto operativo, lontano da ogni esercizio teorico. Questo è il momento giusto per farlo, perché ci troviamo in un contesto in cui la resistenza al cambiamento lascia spazio alla curiosità e l’urgenza di trasformarsi sta diventando un fatto quotidiano. È ora di agire“.









