Senza qualità dei dati, i progetti sono a rischio

Lo sostiene Gartner, che ha osservato lo stato qualitativo delle informazioni che circolano nelle grandi imprese.

17 maggio 2004

Gartner ha preso cappello nei confronti della qualità dei dati che circola nelle grandi imprese.


L’aire per farlo gli è venuto da una ricerca condotta sulle imprese della classifica Fortune 1000, e l’assunto a cui è giunta dice che per far sì che la qualità dei dati trattati dalle applicazioni di business intelligence e di Crm sia soddisfacente, è necessatio che persone, processi e tecnologia marcino con la stessa cadenza, altrimenti sono dolori.


Il che significa che i progetti che le imprese mettono in cantiere, possono risultare solamente costosi e non produrre i risultati per cui vengono ideati.


Ma cosa significa qualità dei dati? Anzi, cosa è la non-qualità dei dati?


Non si tratta, evidenzia l’analista, solo di stabilire se i dati in possesso di un’impresa siano scorretti o incompleti, ma di analizzarne vari componenti e caratteristiche, come la consistenza (cioè verificare se un dato è identico quando si sceglie di immagazzinarlo in più di un dispositivo di storage, scopo business continuity), l’accuratezza e la rilevanza.


In sostanza, Gartner solleva il coperchio della pentola in cui c’è il tema della diligenza con cui le imprese conservano i propri dati, a partire dal processo di selezione degli stessi (succedaneo alla domanda: “quali dati sono importanti per il nostro business?”).


L’elemento di difficoltà che immediatamente emerge di fronte a questa “scopertura” è quello della sincronizzazione dei dati. Facile individuarne il valore, così come è altrettanto facile incappare nell’errore della mancato allineamento. Il che, ragionando in ottica di progetti in corso o da far partire, che ultimamente stanno spingendo in direzione della supply chain con l’introduzione delle tecnologie di rilevamento in tempo reale (Rfid), porta alla luce una ulteriore necessità di sincronizzazione delle basi dati, mancando la quale, vengono inficiati i risultati positivi di qualsiasi intrapresa.


Vizio di forma, e di sostanza, nell’endemica mancanza di qualità dei dati sarebbe proprio lo scollamento fra management e It, che porta, in linea generale, il primo a stabilire l’inizio di un processo-progetto di business intelligence, confidando che l’It sa come e dove andare a prendere i dati che gli servono. Il che può anche essere vero, ma non è così automatico.


Tutto va parametrato all’organizzazione aziendale, che è frutto delle direttive del management. E se l’organizzazione non è strutturata per abilitare la costruzione di dati qualitativamente degni, l’It non può fare miracoli. O, quantomeno, ha bisogno di più tempo per qualificare le basi informative che le servono per portare a termine i progetti di cui è incaricata.


I dati “sporchi e poveri”, quindi, sono i responsabili dei progetti che latitano nel dare i risultati attesi. E la “colpa”, se di questo si può parlare, è, sostanzialmente, del management. Un problema di “manico”, che deve auto-sensibilizzarsi sul tema qualità, e dare un ordine alla struttura di processo e alle persone che la fanno. Solo così l’It può apportare la propria virtù nel lungo periodo.

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