Sentenza Google: Ceci tuera cela

Il wifi dev’essere libero e la banda larga deve partire: la risibile prima sentenza sull’upload non deve giustificare i colpevoli ritardi. I tecnopensatori tuonano che “i poteri forti vogliono chiudere Internet” e si fermano al dettaglio. Ma Internet, che non è il mondo reale, continua la sua strada

Il fatto lo si conosce, almeno per sommi capi: nel 2006 alcuni giovanotti filmano i loro maltrattamenti ad un ragazzo non down e ne fanno l’upload su Google Video. Inizia un’azione legale -poi sostenuta dall’associazione Vividown – sostanzialmente sugli artt. 13, 17 e 26 del D. Lgs. 196/2003, che porta il giudice Oscar Magi alla condanna di manager di Google responsabili della violazione della privacy: secondo i giudici, il nostro Codice relativo renderebbe illegale l’upload in sé, quindi richiede la chiusura di Internet. In altri termini, se due auto collidono la colpa è dell’asfaltatore.
Capiremo meglio quando avremo la sentenza definitiva e intanto ringrazio Stefano Quintarelli, che a suo tempo aveva affrontato l’argomento con cognizione di causa.

L’anomalia italiana
Tra le analisi più precise, e anche tra le più sintetiche, ho apprezzato molto quella della BBC, in particolare nel commento di Jane Wakefield .
Gli osservatori italiani, immagino quasi tutti, hanno puntato il dito contro l’anomalia italiana, che ci assimilerebbe alla Cina nel contrastare Google o addirittura all’Iran che chiude Facebook e le celle GSM. Alcuni commentatori internazionali hanno ipotizzato che questa sia una sentenza mirata, in un piano cospirazionista a livello mondiale, per creare un precedente atto a scardinare la Rete.
Di queste frasi non resta che sorridere. A me pare tutta follia degna del miglior David Icke, il britannico ricco a miliardi per aver monetizzato rivelazioni da altri mondi secondo le quali una rilevante percentuale dei potenti del mondo sono veri e propri Visitors alieni, inquadrando tutto in un complottismo a livello planetario.
Al di là di ciò che pare a me, è evidente che un primo grado non vuol dire proprio nulla; anzi immagino che la sentenza verrà ribaltata in appello. Nel suo specifico, la sentenza è una delle tante incongruenze che un sistema farraginoso come la Giustizia italiana si trova a dover giudicare in un mondo di diritti digitali. Ma si tocca Internet, l’oppio dei tecnopopoli, e quindi lèvati cielo!

L’upload è sacro
Mi rendo conto di andare contro i benpensanti della rete e quindi mi avventuro in un disclaimer: l’upload è sacro. Internet è un bene acquisito, come qualsiasi tecnologia: un morto per accoltellamento non ha conseguenze sui venditori di coltelli. Se questa sentenza diventasse giurisprudenza italiana sarebbe una vergogna. Se fosse usata per futuri scopi internazionali sarebbe anche peggio.
Fine del disclaimer.
Aggiungo di più: non credano i Governi italiani, a partire da quello attuale, che follie quali il decreto Pisanu per il wifi o i fondi per la banda larga possano essere giustificate da episodi come questi o anche più forti. Il governo attuale ha la responsabilità diretta di questi due fenomeni e non deve avere nessuno sconto.
E a proposito di sconti, nei tempi opportuni c’è da attendersi che il Garante della Privacy Pizzetti, la cui ultima relazione è stata improntata ai confini tra informazione e libertà , parli ampiamente di questo caso già all’arrivo della sentenza di primo grado. Al momento in cui scrivo l’articolo non ho visto né sentito nessuna dichiarazione particolare.
Si dirà che non spetta a lui, il che è vero ma in casi come questo non accettabile. Pizzetti ha credibilità internazionale e ci attendiamo più del suo specifico compito.

Ceci tuera cela
“In my humble opinion”, come si dice ipocritamente on-line in questi casi con l’acronimo IMHO, che qui uso altrettanto ipocritamente, il problema centrale è proprio in queste due parole: “diritti” e “digitale”.
Il mondo digitale è di una arroganza spaventosa ed allarmante. Tutti si preoccupano di Internet e nessuno più ricorda quanta gente al mondo sopravvive negli stupri per la ricerca di acqua sporca o rami secchi da bruciare.
Con l’avvento della convergenza digitale, di fatto si è creata una guerra tra mondi, quello i cui abitanti sono i numeri Ip (e gli Imei dei cellulari) e quello i cui abitanti sono persone. Il mondo reale è il secondo, mentre il primo è il mondo delle realtà virtuali ed aumentate. Il primo ha norme vecchie e soprattutto inadatte, che trovano applicazioni ridicole in varie nazioni del mondo, a seconda dei singoli casi e delle storie del diritto nei singoli Paesi.
E mi diverte molto pensare a quanto sia stato profetico e aggiornato “Permutation city”, il romanzo di Greg Egan che già nel 1994 aveva anticipato in che direzione sarebbe andata la tecnologia di internet. Nella versione originale il romanzo aveva anche un sottotitolo: “Ten million people on a chip” e di avventura nei diritti di un mondo digitale.

Il libro distrugge la Cattedrale
Senza dover rinfocolare polemicucce adolescenziali, la ridefinizione del diritto in senso globale è una questione che accade sistematicamente nella Storia. Non è certo il luogo, questo articolo, di parlare di concetti quali “Stato di diritto” o democrazia”; restando nello specifico ambito ICT direi che il mondo non ha ancora assorbito la lezione della stampa a caratteri mobili, con la divisione tra autore e tipografo, portali o passaparola (o passa-twit), contenuti e server. Di quella lezione non ha compreso, soprattutto, la mirabile sintesi che Victor Hugo affida a tutte le rivoluzioni, parafrasando proprio la lotta tra potere e informazione, tra libro e cattedrale, con la frase “Ceci tuera cela”, il potere del libro ucciderà il potere della cattedrale.
Ribadisco un pensiero che già espressi su queste colonne: Internet è guerra .
Ma è solo una delle guerre e certo non la più difficile che dobbiamo vincere oggi.
Non fermiamoci ai dettagli; non guardiamo il dito, guardiamo la Luna che quel dito indica.

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