Home Digitale Sap, il Covid-19 non ferma la trasformazione digitale delle Pmi italiane

Sap, il Covid-19 non ferma la trasformazione digitale delle Pmi italiane

Il 2020 è stato un anno fortemente influenzato dalla pandemia da Covid-19 con i mesi di marzo e aprile caratterizzati da un lungo lockdown, che ha coinvolto la gran parte delle attività imprenditoriali alle prese anche con la trasformazione digitale.

Molte aziende hanno risposto alla necessaria immobilità fisica con una improvvisa (e talvolta pionieristica) spinta al digitale. Oggi, in molti ci si interroga su cosa rimarrà di questa sferzata digitale e se e come siano cambiati e cambieranno i punti di contatto con clienti e prospect. Lo studio “L’effetto dell’emergenza Covid-19 sulla digitalizzazione delle imprese” promosso da SAP Italia, realizzato in collaborazione con Pepe Research, si è proposto di comprendere quali novità ha portato l’emergenza sanitaria in termini di digitalizzazione tra le PMI italiane.

Il vissuto dell’emergenza lockdown, tra strategie, sofferenza e tensione reattiva

Flessibilità e sofferenza. Queste le due parole chiave che – guardando a chi è alla guida dell’azienda – hanno caratterizzato il vissuto del lockdown. Flessibilità per aver dovuto prendere in mano la situazione e reagire velocemente. Sofferenza per essersi trovati in un contesto di grande fatica – stress, ore lavoro indefinite – e per essersi dovuti assumere la responsabilità di scelte importanti. Tra queste, in particolare, l’attivazione (o meno) di cassa integrazione o obbligo di ferie, la scelta di chiudere o tenere aperta l’azienda con rischi da una parte sulla sicurezza dei lavoratori, dall’altra sull’andamento del business, le decisioni di carattere etico ed economico. Ogni scelta si è portata dietro un peso e un senso di responsabilità importanti, da gestire in tempi rapidi.

Alla domanda sul grado di perdite tra lavoro e fatturato subito a causa della pandemia il 43% delle aziende intervistate ha evidenziato un calo in entrambi i contesti con un livello che va da molto (19%) ad abbastanza (24%), mentre il restante 57% ha sofferto poco o per nulla questa situazione perché sono state in grado di continuare a lavorare in modo continuato (53%) o ridotto (7%).

Lato azienda il lockdown è stato un periodo caratterizzato da tensione reattiva. E’ emersa la necessità di adattarsi in tempi molto rapidi ad uno scenario completamente nuovo e ciò ha richiesto molta flessibilità, seppur in un momento ricco di complessità. Per il 57% degli intervistati questo ha comportato una riorganizzazione importante del lavoro e delle infrastrutture.

Il cambiamento è stato soprattutto in ambito organizzativo e ha coinvolto in primis la gestione del personale per il 77% delle aziende: ricorso significativo allo smart working e riorganizzazione del lavoro in sede ove necessario con l’adozione ad esempio di dispositivi di protezione individuale, distanziamenti, controllo accessi. Passando anche dal riesame dei propri modelli di business e mercati, con il disegno di nuovi prodotti o servizi, proprio per venire incontro alle esigenze emergenti del mercato, rivedendo quindi la gestione dei processi (38%) e della supply chain (42%). 

La centralità della trasformazione digitale, accelerata repentina

Senza dubbio il ricorso alla digitalizzazione è stata la decisione più diffusa per fronteggiare l’emergenza da Covid-19, con il 70% delle aziende che ha messo in campo più progetti contemporaneamente. Nella maggior parte dei casi (64%) la strategia è stata quella di accelerare immediatamente processi previsti per il prossimo futuro, talvolta con un orizzonte temporale passato da 2 anni a 2 mesi. In alcuni casi andando ad attivare scelte che venivano procrastinate, o non prese, da tempo.

Quello che emerge dallo studio di SAP e Pepe Research è che l’iniezione di innovazione è stata certamente forte, anche se in alcuni casi di livello base, con l’80% degli executive che ha indicato che la pandemia ha dato la giusta spinta alla trasformazione digitale. Le principali innovazioni citate dagli intervistati fanno rifermento a ‘strumenti di collaborazione’, videocall come prima citazione e massiccio ricorso a webinar. Non è mancato però il potenziamento – espresso dal 67% delle aziende – di strumenti di digital marketing e e-commerce. Centrale ovviamente l’espansione dello smartworking, talvolta nella forma di ‘home working’. Tra le altre novità citate la dematerializzazione dei contratti e la virtualizzazione di prodotti e servizi.

Ma soprattutto, oltre a ciò che è stato fatto durante l’emergenza, diversi sono i nuovi piani di trasformazione digitale in programma per il 69% delle aziende. Secondo i top manager intervistati è avvenuto un vero cambiamento culturale: la rivoluzione si è innescata e non si può arrestare, ciò che prima era accessorio è ora divenuto fondamentale.

La maggior parte del management intervistato riteneva di avere un buon livello di digitalizzazione al momento del lockdown, ma nonostante ciò tra i maggiori problemi che sono stati affrontati nel momento dell’emergenza vi sono stati diversi aspetti legati alla tecnologia. Più in particolare il nodo critico sembra essere stato quello delle infrastrutture.

Carenza di hardware: uno dei problemi più citati è stata l’assenza (e la difficoltà di reperimento nell’immediato) di notebook e sistemi che permettessero il lavoro da remoto; problemi di connessione: lavorare da casa ha comportato il ricorso alle reti domestiche, non sempre adeguate, o la dotazione per connessioni Wi-Fi. Sistemi sottodimensionati: anche ove presenti soluzioni per il lavoro da remoto, raramente questo era pensato per supportare il carico contemporaneo di molti accessi.

Non ultimo, nella ricerca di Sap sono state evidenziate alcune carenze culturali dei dipendenti nel lavoro di rete (software di cui non si conoscevano bene le funzionalità, difficoltà di rinunciare alla carta, etc.), necessità di imparare a ‘lavorare insieme senza esserlo’.

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