Reputazione 2.0

La diffusione dell’utilizzo di strumenti di social networking può creare problemi per un’azienda, ma anche per l’utente incauto.

Cinquantamila dipendenti e collaboratori che utilizzano wiki e strumenti di social networking, per un’azienda, sono qualcosa che non si può ignorare né evitare.
Sono un fenomeno con cui diventa imperativo misurarsi, con la consapevolezza che il punto di non ritorno è ormai stato superato e che non ha senso mettere in atto oggi politiche di limitazione o addirittura di divieto.

Lo ha ben capito Cisco, forte dei numeri e di altrettanta esperienza.
Non è semplicemente una questione di sicurezza: le fughe di dati e di informazioni riservate sono un fenomeno conosciuto, al quale si possono dare risposte utilizzando in modo integrato tecnologie, policy e regolamenti aziendali.

Il fenomeno del Web 2.0 pone invece le aziende di fronte a problemi ben più complessi, che vanno a intaccare anche la cosiddetta reputation di un’impresa, dei suoi manager, dei suoi dipendenti, dei suoi partner e concorrenti. E che dunque rischia di tradursi in problematiche di tipo legale.

Fenomeno nuovo, soluzione vecchia.
Si torna a parlare di formazione. L’unico modo per arginare il problema, secondo Rebecca Jacoby, CIO in Cisco, è formare adeguatamente gli impiegati aziendali, spiegando quale possa essere l’uso appropriato degli strumenti Web 2.0. Magari, sottolineando anche ciò che l’Ico britannica (Information Commission Office, l’autorità indipendente per l’accesso a dati ufficiali e la protezione della privacy) ha diffuso nei giorni scorsi: vi sono seri pericoli rispetto alle prospettive lavorative di chi sottovaluta i rischi di una disinibita gestione della propria immagine digitale.

L’Ico pensava agli adolescenti e a YouTube.
Cisco guarda ai dipendenti un po’ più cresciuti.
Ma le avvertenze sono sempre le stesse.

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