Quelli della Commodore generation

il Commodore 64 ha segnato un’epoca nella storia dell’informatica italiana. In molti hanno pigiato i primi tasti proprio sulla sua tastiera

Quelli del Commodore oggi sono padri di famiglia. Navigano su Internet, hanno
il portatile con il Wi-fi e il vecchio C64 che si vendeva anche nei negozi di
giocattoli l’hanno messo in ripostiglio.
Forse funziona ancora e magari un
giorno lo tireranno fuori per raccontare ai figli la magìa di quella scatola che
nell’Italia dei primi anni Ottanta è stato il primo segnale
forte
dell’arrivo della rivoluzione informatica.


I figli guarderanno senza capire l’entusiasmo del padre per quell’ammasso di
pixel sullo schermo. Un po’ come guardano schifati i rari filmati in bianco e
nero che passano in televisione. Loro, quelli della “Commodore generation” come li ha
definiti Giammarco Binetti, l’ex direttore commerciale di
Commodore che in Italia di C64 ne ha venduti parecchi, riprenderanno in
mano il vecchio joystick, piazzeranno sul tavolo l’enorme lettore di floppy disc
e daranno libero spazio alla nostalgia con quel gioco del calcio un po’
improbabile, le Olimpiadi invernali e quell’Impossible mission mai terminato.


Difficile che si appassionino ai nuovi prodotti Commodore, di certo se ne
vedranno uno in negozio rimarranno colpiti, lo prenderanno in mano rimirando
quel marchio che si è meritato un piccolo spazio nella storia personale di
molti. Oggi se in un gruppo di quarantenni, fra lo stupore generale, qualcuno
confessa di essere un appassionato di videogiochi significa che nella sua vita
ha incontrato un Commodore. Gli altri lo guardano come fosse un matto e non
capiscono cosa si sono persi.

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