Quel sottile filo tra Fastweb, Telecom ed Esselunga

Tre storie solo apparentemente diverse, accumunate da una stessa grande assenza: l’imprenditoria nazionale.

Un filo sottile lega Fastweb, Telecom ed Esselunga.
Il trio non deve
stupire.
Tutte e tre sono italiane e tutte e tre rischiano (chi più chi
meno) di non esserlo più fra qualche tempo.

Tutte e tre, inoltre, sono
aziende importanti per quello che fanno e anche per le dimensioni.

In un
Paese troppo avaro di grandi aziende perdere Esselunga (dopo che gran parte
della Grande distribuzione è già passata in mani straniere
) non è una
notizia positiva.

Figuriamoci Telecom, la società del Next generation
network, quella che dovrebbe fortemente contribuire a eliminare il digital
divide da questo Paese.

E se nel caso di Esselunga non c’è l’intenzione
di vendere alla concorrenza italiana, per Telecom (pardon, Olimpia) e
Fastweb sembra manchino i compratori.

Per la società di Tronchetti
Provera sembra stiano scendendo in campo le banche.

Soluzione che
permette di mantenere l’italianità dell’azienda e probabilmente serve anche a
tamponare la situazione aspettando una cordata industriale italiana.

Soluzione dettata anche dalla politica ma che avviene senza
la presenza di un imprenditore. Anche perché il ventilato interesse di Mediaset,
se reale, non appare politicamente praticabile. Non è possibile allargare il
conflitto d’interessi.

Per Fastweb invece l’offerta italiana, a quanto si sa,
non è mai arrivata. Neanche da una società come Mediaset che, come osservava su
Repubblica Alessandro Penati, potrebbe trovare proprio in Fastweb una
possibilità di allargare il proprio business in un settore che sembra essere più
interessante del digitale terrestre.

Adesso Mediaset sembra puntare ai
contenuti di Endemol.

Scelta lecita, ma fra chi vuole vendere pensando
solo al prezzo (anche questo è lecito anche se non è la soluzione ideale per
l’Italia) e chi vende all’estero perché in Italia la sua azienda non interessa a
nessuno stiamo lasciando per strada le Tlc.
Wind se ne è già andata da
tempo.

Ed Esselunga?
Lì il compratore c’è, sono le Coop ma solo a
farne il nome Caprotti si arrabbia di brutto. Ai comunisti lui la sua azienda
non la vende.
Sempre lecito, ci mancherebbe, ma forse a questo
Paese servirebbe altro.

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