Poca tecnologia per i nuovi imprenditori

Uno studio internazionale monitora il popolo dell’early stage. Gli italiani scelgono i settori tradizionali per le nuove aziende

Italiani popolo di imprenditori? Sì, ma senza esagerare. Secondo il Global entrepreneurship monitor, Gem, realizzato nella versione italiana da Enter il centro ricerca imprenditorialità e imprenditori della Bocconi, il tasso di imprenditorialità early stage (la prima fase di vita delle aziende) è del 5% rispetto al 3,5% dello scorso anno e al 4,9% del 2005.


Il dato ci pone in tredicesima posizione tra i 19 paesi Gem con la Cina che arriva 16,4%, gli Stati Uniti all’9,6%, India 8,5%, Portogallo 8,8%, Irlanda 8,2% e Spagna con il 7,6%.


In linea con l’Italia sono Paesi Bassi, Danimarca e Regno Unito, mentre la Francia si ferma al 3,2%.


L’imprenditore italiano early stage è di solito un uomo fra i 25 e i 34 anni con una buona istruzione visto che il 36% è laureato, un dato migliore rispetto a quello di molti altri paesi europei (ma altre ricerche sostengono il contrario).


Ogni cento uomini che fondano un’azienda ci sono cinquanta donne che provano la stessa esperienza, anche se fra gli imprenditori di successo il numero scende a 23 ogni cento uomini.


Chi tenta l’esperienza imprenditoriale, come succede nei paesi ad alto reddito, lo fa perché spinto da una nuova opportunità e non per necessità. La metà vuole incrementare il reddito e l’altra metà cerca invece maggiore indipendenza.


Il Nord ha più imprenditori del Centro e del Sud.


Più di due terzi delle nuove attività appartengono al settore dei servizi. Il 37,5 dell’early stage del 2007 ha offerto servizi al consumatore (negozi, ristoranti, studi medici) e il 31,3% servizi ad altre imprese (ricerche di mercato, traduzioni, pulizia).


In generale si tratta però di attività con un potenziale di crescita inferiore a quello di altri paesi. Nonostante i nuovi imprenditori italiani ritengano di essere innovativi offrendo nuovi combinazioni prodotto-mercato, non hanno grandi aspettative di crescita.


Questo perché in realtà non sono poi così innovativi anche a causa del basso contenuto tecnologico delle loro attività che, secondo il rapporto, trova le cause nella specializzazione nei settori tradizionali, nelle dimensioni contenute delle aziende, e nella difficoltà di trovare risorse finanziarie.


Realizzata su un campione di duemila persone fra i 18 e i 24 anni, l’indagine è completata da questionari sottoposti a imprenditori ed esperti che indicano significative aree di miglioramento per il paese. L’Italia vanta risultati modesti con riferimento a vari indicatori come la possibilità di ottenere risorse finanziarie per le start up (21° posto su 22), infrastrutture (21°), peso della tasse e della burocrazia (19°), l’importanza data dalla politica al sostegno dell’imprenditorialità (19°), la formazione dei giovani con riferimento alla preparazione necessaria per diventare imprenditori (18°), e il sostegno pubblico per le nuove aziende (17°).


Imprenditori ed esperti indicano poi le possibili aree di intervento. Prima di tutto è necessario mettere in atto politiche che selezionino e sostengano iniziative imprenditoriali ad alta crescita e a elevato contenuto tecnologico.


Occorre aiutare l’accesso a fonti pubbliche e private di debito ed equity sulla base della validità delel iniziative, migliorare la formazione nelle aree del business, management e dell’imprenditorialità, con politiche che promuovano una cultura volta all’autonomia e all’iniziativa personale, rafforzare la cultura della creatività con iniziative che sostengano l’imprenditorialità come scelta professionale basata su una solida educazione e formazione e su una concreta etica del lavoro.


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